L’Alto rappresentante Josep Borrell presenterà domani una prima bozza dello Strategic Compass, che comprenderà una forza comune di cinquemila unità. Ma cosa vuol dire in termini operativi? Quanto pesano sulle missioni internazionali? E chi spende di più in Europa per la Difesa? Tutti i numeri…
Domani l’Alto rappresentante Josep Borrell presenterà una prima bozza dello Strategic Compass al collegio dei commissari. Poi, la prossima settimana, la presentazione formale agli Stati membri, in occasione del Consiglio affari esteri e difesa. È stata oggi Dana Spinant, portavoce della Commissione europea, a spiegare i tempi di uscita dell’atteso documento che dovrà rilanciare l’ambizione dell’Ue in ambito internazionale. Così il sogno della Difesa europea, perseguito fin dall’avvio dell’integrazione continentale, continua. È uno degli obiettivi più “anziani” e ambiziosi dell’Unione, spesso ostacolato dalla mancanza di volontà politica comune in materia di politica estera e di difesa da parte degli Stati membri. Anche per questo, quello che appare oggi è un quadro complesso di alleanze, iniziative, progetti e missioni che corrono ora in direzione dello Strategic Compass.
A CHE PUNTO SIAMO CON LA DIFESA EUROPEA?
In vista della presentazione della prima bozza, è utile tirare le somme. Il documento è ambizioso poiché mira alla costruzione di un’autonomia a 360 gradi nelle capacità della Difesa europea. L’idea è di fornire una guida operativa concreta e obiettivi nelle aree del crisis-management, resilienza, capacità e partnerships. Con lo scopo, inoltre, di creare più coerenza tra i diversi strumenti già in campo e determinanti nell’integrazione industriale e militare della difesa dell’Ue: la cooperazione strutturata permanente (Pesco), il fondo europeo di difesa (Edf), e la revisione coordinata annuale (Card).
IN ATTESA DELLA CARD
Proprio la seconda edizione della Card, prevista al lancio il prossimo mese, darà contezza di quanto il progetto nel suo complesso potrà essere concreto, dopo che ogni Stato dell’Unione avrà incontrato individualmente sia l’Eda sia lo Staff militare dell’Ue per discutere i vari profili nazionali e i relativi piani futuri per il contesto europeo. L’edizione 2020 della Card mostrò un quadro in chiaro-scuro, riassunto dalla frase “elevati livelli di frammentazione e scarsi investimenti nella cooperazione” (leggere qui per approfondimento), proprio a indicare una situazione di incertezza per l’Ue, richiamando dunque a un maggiore impegno e collaborazione da parte degli Stati membri, individuando ben 55 aeree di possibile cooperazione.
Qualcosa potrebbe cambiare con la seconda edizione. L’obiettivo è passare in rassegna le attività degli Stati membri per fornire nel tempo un quadro completo del panorama europeo della Difesa, evidenziando sia le capacità già esistenti sia identificando potenziali aree di cooperazione multilaterale. Con la volontà di garantire maggiore coerenza nella pianificazione degli Stati membri, la Card sarà funzionale e fondamentale anche nell’identificare e perseguire gli obiettivi dello stesso Strategic Compass.
IL VALORE DELLO STRATEGIC COMPASS
Nonostante lo Strategic Compass abbia un perimetro ampio, l’attesa del disvelamento è tutta per la proposta di creazione di una forza d’intervento europea interoperabile e flessibile, ovvero un contingente di cinquemila militari alle dirette dipendenze dell’Unione (se ne parla nel dettaglio qui), perseguendo così lo storico obiettivo di costituire un “esercito europeo”, concetto che nel tempo si è rivelato piuttosto utopico, assumendo sempre più la forma di un “esercito di europei”. La bozza rivelata la scorsa settimana da Bloomberg cita una forza europea di circa cinquemila effettivi, una brigata, operativa entro il 2025, composta da almeno tre gruppi tattici a livello di reggimento, pari a circa 1.500 militari. Per dare un’idea delle dimensioni del contingente, basti pensare che, ad esempio, nella missione Kfor sono impiegate 3.760 unità provenienti da 28 Paesi, mentre per la missione Unifil circa 10.500 unità. Ulteriore termine di paragone: per il 2021 l’Italia ha autorizzato un dispiegamento massimo all’estero circa 9.500 militari in 40 missioni diverse.
Guardando a tali numeri, viene naturale chiedersi se una forza di cinquemila unità possa davvero rappresentare un passo importante nel realizzare l’ambizione di una Difesa comune, o se non rischi di diventare, similmente ai Battlegroup europei, un progetto senza seguito sul campo. Nel caso dei Battlegroup europei, sorti sulla base del dibattito innescato dall’esperienza in Kosovo alla fine degli anni Novanta, la proposta iniziale fu di 60mila unità, poi ridottasi drasticamente. Per quanto riguarda ora la proposta di una forza da cinquemila unità, ci sarà da capire la composizione e le regole d’ingaggio.
PROGETTI PESCO
Tutto dipenderà, come sempre, dall’intesa tra gli Stati membri. In questo senso, servirà l’esperienza maturata nel dialogo tra Paesi nell’ambito della Pesco, la cooperazione strutturata permanente in materia di Difesa e sicurezza che coinvolge 25 Stati membri. Già prevista dai trattati dell’Ue, è stata avviata dal Consiglio a dicembre 2017 con l’obiettivo di far convergere gli Stati verso una condivisione di interessi passando per singoli progetti collaborativi. Oltre ad essersi aperta alla partecipazione di Stati terzi, da allora ha aumentato il numero dei progetti collaborativi: erano 17 quelli lanciati nel 2017, e oggi se ne contano ben 47 che coprono tutti i settori, dall’addestramento alla cyberdifesa, dai sistemi marittimi a quelli aerei. Un documento ufficiale fornito dal Consiglio fa una panoramica dei progetti Pesco alla fine del 2020, utile per capire i rapporti di forza e gli interessi degli Stati membri. I Paesi maggiormente presenti sono: la Francia (partecipa a 29 progetti, guidandone 9), l’Italia (partecipa a 25 progetti, guidandone 9), la Germania (partecipa a 16 progetti, guidandone 6), la Spagna (partecipa a 24 progetti, guidandone 2) e la Grecia (partecipa a 14 progetti, guidandone 5).
QUALI PAESI EUROPEI SPENDONO DI PIÙ PER LA DIFESA?
E poi c’è il capitolo industriale, capace negli ultimi anni di procedere con maggiore determinazione rispetto a quello politico. È ormai operativo il Fondo europeo di Difesa (Edf) con l’intento di promuovere la competitività e la capacità di innovazione dell’industria continentale. Rispetto a una proposta iniziale da circa 13 miliardi di euro, il budget approvato pochi mesi fa prevede per l’Edf un totale di 7,9 miliardi per il periodo 2021-2027. Nel documento “Defence Expenditure of NATO Countries (2014-2021)” pubblicato dalla Nato a giugno 2021, si possono vedere le spese per Paese nell’anno corrente.
Secondo i numeri dell’Alleanza Atlantica, l’Italia spende per la difesa circa 24,4 miliardi di euro, pari al 1,4% del Pil. Oltre all’Italia, i Paesi che spendono di più sono: la Germania con 53 miliardi di euro (pari al 1,5% del Pil), la Francia con 48,2 miliardi (pari al 2% del Pil), a seguire Spagna con 12,2 miliardi di euro (pari a circa il 1% del Pil) e Olanda con 11,8 miliardi di euro (pari al 1,45% del Pil). Italia, Germania e Francia rientrano inoltre fra i 15 Paesi al mondo che spendono di più per la Difesa. Confrontando l’ordine di grandezza delle spese di un singolo Paese di quelli citati rispetto al complesso dei fondi dell’Edf, appare evidente la differenza. L’auspicio è che possa comunque contribuire in modo significativo al consolidamento della Difesa europea, promuovendo progetti collaborativi e (attraverso la formula del co-finanziamento) innescando un circolo virtuoso di finanziamenti.