Pechino accusa Washington perché i satelliti Starlink, di proprietà del gruppo di Musk, avrebbero rischiato di provocare una collisione con la stazione spaziale Tiangong, ma è stata silente quando la Russia ha effettuato un test anti-satellite spargendo migliaia di detriti in una zona limitrofa alla Tiangong stessa. Marcello Spagnulo, ingegnere ed esperto aerospaziale, ci spiega perché c’è da preoccuparsi
Lijian Zhao è il portavoce e vicedirettore del dipartimento dell’informazione del ministero degli esteri cinese. Non è una persona qualunque bensì una voce autorevole del governo, è noto per essere il simbolo del nuovo corso cinese per le relazioni internazionali, e incarna un approccio assertivo, duro e senza complessi. Pochi giorni fa durante un incontro con la stampa ha accusato senza mezze misure gli Stati Uniti di “non aver rispettato i propri obblighi internazionali” a seguito del rischio di ripetute collisioni nello Spazio tra i satelliti Starlink e la stazione orbitale Tiangong.
“Questo evento rappresenta una seria minaccia per la vita e la sicurezza degli astronauti cinesi” ha affermato Lijian Zhao senza mai citare il legittimo proprietario dei satelliti Starlink, cioè Elon Musk. Secondo un documento inviato all’inizio di dicembre da Pechino all’Ufficio per gli affari spaziali delle Nazioni Unite di Vienna, l’agenzia spaziale ha dovuto spostare due volte in pochi mesi la Tiangong per evitare i satelliti americani. Simili eventi purtroppo sono sempre più frequenti. In vent’anni la Iss ha manovrato più di trenta volte per evitare dei detriti in rotta di collisione, e nel 2019 l’agenzia spaziale europea Esa aveva contattato la SpaceX – inutilmente, dato che la società rispose in ritardo alle sollecitazioni europee – prima di spostare in emergenza il suo satellite Aeolus per evitare uno Starlink. Ora però un influente esponente politico cinese chiama in causa direttamente la responsabilità oggettiva del governo degli Stati Uniti per l’attività di una società privata americana.
C’è da rilevare che non si ravvisano analoghe dichiarazioni contro la Russia quando a novembre aveva effettuato un test anti-satellite che aveva provocato circa 1500 detriti a un’altezza compresa tra 440 e 520 chilometri, quindi appena sopra la Iss (che viaggia a 400 chilometri) e la stessa Tiangong (che ha un perigeo e un apogeo rispettivamente a 350 e 450 chilometri). Subito dopo il test, Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Giappone e Corea del Sud avevano accusato Mosca di irresponsabilità per aver messo in pericolo i satelliti e le stazioni in orbita bassa.
Invero, la questione da porsi era, ed è ancora, perché la Russia avesse scelto di provare un’arma anti-satellite proprio ora. La motivazione principale che la stampa internazionale aveva fatto propria era che Mosca avesse raggiunto due obiettivi: migliorare le sue capacità di difesa e deterrenza vis-a-vis di Usa e Cina e assicurarsi di poter far parte di un eventuale processo di regolamentazione internazionale avendo mostrato pubblicamente di possedere una tale capacità di offesa. Tesi senz’altro condivisibili ma superficiali nella loro semplicistica cifratura. È possibile invece che si sia trattato di una vera e propria azione prebellica, termine qui che va inteso non solo in senso militare ma anche commerciale.
È su quest’ultimo aspetto che, a mio avviso, va a inserirsi in chiave di lettura integrata la protesta cinese contro il governo statunitense per le manovre dei satelliti della SpaceX. Come abbiamo spesso ripetuto in passato, la attività spaziali del XXI secolo stanno mutando da un paradigma quasi del tutto governativo a un altro in cui, fermo restando la strategicità militare, si aggiunge il modello economico privato, quello dei “rich boys” come Donald Trump ebbe a definire lo stesso Musk e Jeff Bezos.
Il confine tra la priorità strategico-istituzionale e quella commerciale, di per sé già labile nell’economia terrestre, si annulla nel limes eso-atmosferico e quindi il confronto geopolitico planetario tra le superpotenze spaziali – Usa, Russia e Cina – non va letto per episodi separati ma nel suo insieme. Negli ultimi mesi, la Duma russa ha valutato l’opportunità di legiferare restrizioni per chi, individui e aziende, utilizzi servizi Internet basati sulle reti satellitari Starlink e OneWeb che stanno monopolizzando le orbite basse.
I membri della Duma hanno affermato che l’accesso a Internet con quei satelliti aggirerebbe il sistema nazionale di controllo operativo dei media e delle comunicazioni. L’iniziativa parlamentare faceva seguito a precise dichiarazioni del capo dell’agenzia spaziale Roscomos, Dmitry Rogozin, che aveva criticato la Nasa e il Pentagono per aver sovvenzionato Musk con contratti governativi al fine di poter poi usare Starlink per fornire servizi di comunicazione ininterrotti e globali alle forze armate. A luglio scorso la SpaceX aveva ottenuto l’approvazione della Federal communication commission per spostare il suo primo gruppo di 1.584 satelliti – se ne prevedono 2.814 entro il 2022 – in un’orbita più bassa di quella pianificata nel 2019.
La società ha quindi iniziato ad abbassare l’altitudine dei suoi satelliti da 1.150 a 550 chilometri. I due Starlink che hanno fatto infuriare Pechino erano il numero 1095 e il 2305 che, rispettivamente il 1° giugno e il 21 ottobre, manovravano su un’orbita a circa 380 chilometri di altezza e sono arrivati a pochi chilometri di distanza dalla stazione: 28 il primo e 7 il secondo. Entrambi stavano probabilmente abbassando la propria quota con manovre di deorbitazione attiva per un rientro distruttivo in atmosfera, ma in assenza di informazioni i cinesi avevano deciso di spostare preventivamente la loro stazione spaziale.
Arriviamo poi a novembre per rilevare che il test anti-satellite russo è stato effettuato in una zona orbitale del tutto contigua a quella dove SpaceX sta collocando i suoi satelliti, al punto che lo stesso Musk ha dichiarato che alcuni Starlink hanno dovuto schivarne i detriti, e ora di fronte alle proteste cinesi mette le mani avanti dichiarando al Financial Times che “intorno alla Terra c’è abbastanza spazio per mettere in orbita decine di miliardi di satelliti”.
Nel mettere insieme i pezzi del puzzle non si può sfuggire dall’amara constatazione che tutti questi eventi siano in qualche modo legati fra loro e soprattutto che stiano plasmando sopra le nostre ignare teste un prossimo ordine mondiale, sulla Terra e nello Spazio, i cui lineamenti sono oggi ignoti. Si tratta dei primi atti di attività belliche eso-atmosferiche e non di dimostrazioni muscolari.
E ciò perché oggi il rischio di monopolizzazione dello spazio intorno alla Terra diviene concreto, per quanto lontano dai nostri occhi. Degli oltre novemila satelliti messi in orbita dal 1957, la sola Space X ne ha già lanciati oltre 1800 in tre anni, il che significa che oggi il 35% di tutti i satelliti operativi appartiene a una singola azienda privata che nel prossimo triennio potrebbe arrivare ad averne più della metà. E considerando anche le altre costellazioni satellitari – l’inglese OneWeb (che già oggi opera 394 satelliti) e la Kuiper di Bezos (che pianifica di lanciarne 3.200) – ciò significa che la gran parte delle risorse delle orbite basse sta diventando un monopolio privato con tutti i rischi che una tale situazione comporta.
Nell’articolata Lettera Enciclica di papa Francesco Laudato sì, sulla cura della casa comune al paragrafo 57 si legge: “È prevedibile che, di fronte all’esaurimento di alcune risorse, si vada creando uno scenario favorevole per nuove guerre, mascherate con nobili rivendicazioni. La guerra causa sempre gravi danni all’ambiente e alla ricchezza culturale dei popoli, e i rischi diventano enormi quando si pensa alle armi nucleari e a quelle biologiche”. E per quanto vasto e finanche infinito possa essere il Cosmo, è già iniziata la corsa alle sue risorse.