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Quirinale, occhio alle regole. La road map di Ruotolo

Il costituzionalista di Roma Tre su regole, scorciatoie e trucchi pericolosi nella corsa per il Colle. Dal 24 gennaio non tutto è lecito. Ci sono regole scritte e poi c’è uno “spirito” della Costituzione che può essere violato. Una road map

Dietro le manovre irregolari e imprevedibili delle segreterie di partito, c’è una ridda di regole, regolamenti e consuetudini a guidare l’ultimo miglio della corsa per il Quirinale. Alcune sono scritte, altre no. Perché c’è anche uno “spirito” della Costituzione che, senza le dovute accortezze, può essere violato, dice Marco Ruotolo, professore di Diritto Costituzionale all’Università di Roma Tre. È il caso di una presidenza “a tempo”, o del discusso “semipresidenzialismo di fatto” che qualcuno immagina come soluzione con Mario Draghi al Quirinale.

Professore, la data è fissata: lunedì 24 gennaio inizia la partita per il Quirinale. Quanto tempo passa dalla convocazione delle Camere all’inizio del voto?

Il Presidente Fico ha convocato il Parlamento in seduta comune per il 24 gennaio alle ore 15. Si ritiene – e la prassi va in questa direzione – che in tale occasione le Camere operino come “collegio imperfetto”, che non può discutere e deve semplicemente votare (non vi è formalizzazione di candidature, né presentazione e discussione dei programmi). L’unica possibilità di discussione riguarda eventuali questioni procedurali.

Quali sono allora le tempistiche?

Già nel pomeriggio del 24 gennaio si dovrebbe procedere, dunque, al primo scrutinio, anche se, tenuto conto delle circostanze straordinarie legate alla diffusione del Covid-19, è presumibile che i tempi di svolgimento delle votazioni saranno piuttosto lunghi.

Si vota in circostanze straordinarie, Omicron dilaga anche tra gli onorevoli. Come si può uscire dall’impasse? 

Le circostanze eccezionali legate al diffondersi della pandemia imporranno sicuramente degli adattamenti: da quelli minimi (evitare più scrutini nella stessa giornata, come invece accaduto in passato), magari procedendo con una chiama “contingentata” (“a scaglioni”), a quelli, al momento meno prevedibili, che potrebbero interessare la dislocazione del voto, consentendone l’espressione in diversi punti collocati presso i locali della Camera e del Senato, secondo quanto, ad esempio, suggerito da Stefano Ceccanti. Va pure considerato un altro aspetto.

Quale?

L’applicazione del Regolamento della Camera è prevista per le riunioni del Parlamento in seduta comune, «salva sempre la facoltà delle Camere riunite di stabilire norme diverse» (art. 65 del Regolamento del Senato). Insomma, non vi sono ostacoli all’adozione di norme ad hoc, che consentano la partecipazione al voto nella misura più ampia possibile, riducendo i rischi di contagio. Resta il fatto che i parlamentari (o i delegati regionali) che risultino essere positivi non potranno partecipare al voto.

E questo avrebbe un impatto sul quorum…

Potrebbe implicare l’innalzamento “sostanziale” del quorum necessario per l’elezione (maggioranza dei 2/3 e, dopo il terzo scrutinio, maggioranza assoluta), nel senso che salirebbe non il numero dei voti richiesti (sempre 673 nei primi tre scrutini e 505 a partire dal quarto), ma la percentuale sul totale degli aventi diritto (che sono 1008, ma che, in termini di partecipazione, potrebbero scendere di circa cento unità).

L’assenza di un ampio numero di parlamentari in quarantena non rischia di alterare la legittimità del voto?

Se consideriamo che la previsione di maggioranze qualificate è in funzione della scelta di un Presidente che abbia una base parlamentare ampia, il più elevato consenso in termini percentuali, di fatto richiesto dalla possibile riduzione del numero dei partecipanti al voto (in ipotesi dall’attuale 67% al 74% nei primi tre scrutini, e dall’attuale 50% al 56% a partire dal quarto), non porrebbe di per sé un problema di legittimità. Sarebbe, piuttosto, una questione di opportunità.

Perché?

Non solo per il possibile “ritardo” nella designazione del nuovo Capo dello Stato ma anche, e soprattutto, perché si precluderebbe ad un numero potenzialmente significativo di parlamentari di partecipare ad un momento importante per la vita democratica qual è l’elezione del Presidente della Repubblica. Ecco perché, se l’evoluzione della pandemia dovesse davvero incidere in modo significativo sulla partecipazione al voto in presenza, non potrebbe escludersi che le ragioni di opportunità prima rappresentante possano legittimare interventi, oggi impensabili, che consentano la votazione da remoto. La ritengo, comunque, un’extrema ratio, da evitare fin quanto possibile.

È prevista una chiama a “scaglioni” per evitare assembramenti. Il sistema aumenta il rischio di incidenti che possono invalidare il voto?

Penso sia inevitabile procedere al voto per fasce orarie, in base all’ordine alfabetico. Il sistema della “chiama” consente di procedere ad ingressi contingentati, secondo un meccanismo già praticato. Nella situazione attuale non vedo sistemi alternativi, anzi questo è al momento quello in grado di ridurre i rischi di incidenti che possano invalidare il voto. Sarebbe assai più rischioso costituire diversi punti per la votazione nei locali di Camera e Senato o, addirittura, consentire il voto a distanza.

Un’altra anomalia: alla vigilia della convocazione, le elezioni suppletive a Roma. Da regolamento, il candidato sconfitto può contestare il risultato entro due settimane…

In effetti, in attuazione dell’art. 66 Cost., per le controversie e le contestazioni relative al procedimento elettorale è prevista l’attivazione del giudizio della Giunta delle elezioni. Bisogna però considerare che l’assunzione della carica avviene immediatamente, in seguito alla proclamazione, e che l’eventuale annullamento conseguente a mancata convalida ha efficacia solo dal momento della sua pronuncia effettiva.

Mattarella si è già congedato e nega un bis. Una rielezione sarebbe davvero uno “strappo” alla Costituzione?

La Costituzione non prevede preclusioni al riguardo e nella prassi, come è noto, vi è stato il caso della rielezione del Presidente Napolitano. Nel dibattito in seno alla Commissione dei settantacinque incaricata di elaborare il progetto di Costituzione era prevalso, inizialmente, l’orientamento di escludere la rielezione, ma poi in Assemblea costituente si decise di non introdurre tale divieto, per non pregiudicare proprio quei soggetti che si fossero dimostrati particolarmente degni dell’ufficio presidenziale.

E così è stato…

Sì, ma tale ipotesi è stata sempre ritenuta eccezionale, proprio per garantire l’indipendenza del Presidente, allontanando anche il solo sospetto di condizionamenti, per quanto impliciti, ricollegabili alla possibilità stessa di rinnovo del mandato. La rielezione – come scriveva Paladin – appartiene al «novero degli eventi politicamente improbabili», ma – possiamo aggiungere – non impossibili, specie in circostanze eccezionali come potrebbero essere quelle dell’attuale fase storica. Non vi è dubbio – come di nuovo sosteneva Paladin – che la “non-rielezione” sia l’ipotesi che meglio si conforma al modello costituzionale di Presidente della Repubblica («quattordici anni sono molti, per non dire troppi»).

C’è chi in questi mesi ha immaginato Draghi al Quirinale e un “semipresidenzialismo di fatto”. Può esistere un simile sistema?

Un’affermazione simile non può trovarmi d’accordo. È senz’altro vero che i sistemi costituzionali mutano di significato nel concreto evolversi delle condizioni storiche reali, ma pur sempre entro la cornice definita dal “tipo astratto” di forma di governo delineato nella Costituzione. A prescindere da chi sarà il prossimo Presidente della Repubblica, la nostra resterà una forma di governo parlamentare, perché, come ha scritto molti anni fa Vezio Crisafulli, ne esistono in maniera sufficiente i presupposti indeclinabili, rinvenibili nel reciproco condizionamento dei poteri che si esprime nel rapporto di fiducia che deve legare, strutturalmente, il Governo al Parlamento. Ed è un legame che si esprime anche funzionalmente, perché l’indirizzo politico e amministrativo del Governo ha pur sempre necessità di essere appoggiato dal Parlamento, che ha e conserva penetranti strumenti di controllo.

Potrebbe non esserci un nome per le prime tre votazioni. La Costituzione fa preferenze tra un candidato di ampio consenso e un candidato eletto da una ristretta maggioranza?

Il sistema di elezione esprime senz’altro un favore per la designazione di un Capo dello Stato che abbia una base parlamentare ampia. Ma, se le condizioni politiche non lo consentono, la riduzione del quorum prevista a partire dal quarto scrutinio permette comunque alla maggioranza assoluta del Parlamento di poter esprimere il Presidente.

Questo presidente verrà eletto da un Parlamento che tra un anno sarà drasticamente ridotto. Queste circostanze rendono più valida l’ipotesi di una presidenza “a tempo”, cioè un mandato ridotto?

È fuori dall’orizzonte costituzionale l’ipotesi di una presidenza “a tempo”, di un mandato vincolato alle sorti di questa legislatura. Non è un caso che la durata dell’incarico di Presidente (sette anni) ecceda i tempi massimi di una singola legislatura (cinque anni), escludendo ipotesi di “allineamento” conseguente all’eventuale formarsi di nuove maggioranze parlamentari. Prefigurare una presidenza “a tempo” sarebbe davvero poco rispettoso dal punto di vista istituzionale e costituirebbe – questo sì – uno “strappo” alla Costituzione.


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