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Chi vince e chi perde la guerra social, secondo Bentivegna e Nicodemo

Putin e Zelensky hanno scelto due stili comunicativi diversi, quello del presidente ucraino è al momento quello vincente. Oscurare la propaganda russa? Un’arma a doppio taglio. Cosa hanno detto Sara Bentivegna e Francesco Nicodemo al live talk di Formiche “Autocrazia tecnologica. Come la guerra sta rivoluzionando le piattaforme digitali e la comunicazione politica”

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Per scelta o per necessità, Volodymyr Zelensky ha cambiato definitivamente la comunicazione politica con la sua scelta di usare una piattaforma sociale come Twitter per dialogare non solo con le opinioni pubbliche, ma anche con i vari leader mondiali. Dall’altra parte, Putin ha invece scelto uno stile più ingessato e distante, come il tavolo usato durante gli incontri che hanno preceduto lo scoppio della guerra e che sono circolati sui social di tutto il mondo.

Da qui è partito il live talk organizzato da Formiche.net dal titolo “Autocrazia tecnologica. Come la guerra sta rivoluzionando le piattaforme digitali e la comunicazione politica” che ha visto confrontarsi Sara Bentivegna, docente di Comunicazione politica alla Sapienza e autrice, tra i vari libri, di “A colpi di Tweet. La politica in prima persona”, e Francesco Nicodemo, ceo di Lievito Consulting e autore di “Disinformazia. La comunicazione al tempo dei social media”, moderati dal direttore di Formiche.net Giorgio Rutelli.

“Ho appena iniziato i corsi all’università e non ho potuto evitare di partire proprio dalla guerra: l’interesse è sulla piattaformizzazione del conflitto, le conseguenze dal punto di vista comunicativo, il rapporto tra le piattaforme e lo stile della leadership”, ha premesso Bentivegna. “I soggetti che rappresentano questo conflitto – Zelensky e Putin – hanno diversi stili di leadership. Il primo, per scelta o per necessità, fa un uso pubblico dei social con una doppia finalità: entrare in contatto con soggetti difficilmente raggiungibili, e poi dar conto al suo popolo e al mondo che cosa sta facendo, mentre Putin ha scelto uno stile più ingessato e distante, lontano dai social media, uno stile coerente con la persona e con il suo Paese”.

Entrambe le scelte si sposano con il percorso individuale dei soggetti in questione, ha spiegato Bentivegna, ma lo stile di Zelensky arriva anche a chi non mastica la geopolitica: “Presentandosi in divisa e vicino ai suoi ministri e generali, tra i soldati, crea una reazione emotiva in chi lo osserva. La sua è una comunicazione vincente”.

Ma è necessario fare un passo indietro, secondo Nicodemo. C’è un precedente non da poco chiamato Donald Trump che ha usato i social e in particolare Twitter per dettare l’agenda, però il passo fatto dal presidente ucraino si spinge oltre. “Zelensky con i suoi tweet influenza le scelte dei governanti dei vari Paesi con cui si relaziona, un esempio è il tweet in cui ha citato Mario Draghi. Poteva sembrare che l’Italia non fosse schierata a favore delle sanzioni alla Russia e la reazione dell’opinione pubblica ha imposto una presa di posizione forte e innegabile”. Quella che si sta costruendo, ha sottolineato Nicodemo, è una guerra di valori.

E il presidente ucraino in questo gioca un ruolo fondamentale: da una parte parla con l’opinione pubblica, dall’altra mette all’angolo i leader a cui si rivolge, come successo nel caso del tweet di ringraziamento a Erdogan sulla chiusura del Bosforo, prima che il governo avesse preso una decisione, e a Ursula von der Leyen, per un processo di adesione all’Ue che non era affatto iniziato. Un modello comunicativo che, secondo la sociologa, sta subendo un’accelerazione incredibile ed è ormai a un punto di non ritorno. “Zelensky e il suo governo hanno scelto il ‘going public’, la trasparenza su temi finora riservati alle stanze del potere, ed è ormai difficile immaginare un passo indietro. Per lui è stata l’unica scelta possibile in un momento di conflitto estremo. Ma quando i negoziati saranno veri, si tornerà probabilmente all’opacità tradizionale”.

Il “going public”, però, non ha riguardato solo il presidente ucraino. Per la prima volta, infatti, l’intelligence Usa ha fatto trapelare report sulle attività russe al confine con l’Ucraina senza mascherarle da inchieste. Dall’Ue si è pensato a un gioco delle parti e si è sottovalutata la sua importanza. “Il grave errore dei leader europei è stato di continuare a ragionare non in termini in politica di potenza: finché si pensa che l’ordine mondiale è una questione di funzionari e non di politica, rischiamo di rimanere fermi. Dare per scontato che gli interessi economici siano prevalenti rispetto a una volontà di potenza porta a prendere decisioni sbagliate. Con lo scoppio del conflitto l’Ue forse sta capendo che un investimento in una politica comune è più che necessario, e che le scelte monetarie non sono le uniche a contare”, ha sottolineato Nicodemo.

L’Ue non ha ascoltato l’intelligence Usa, ma ha anche sottovalutato Putin. Quando i canali statali Russia Today e Sputnik diffondevano uno scritto a firma del presidente in cui si riscriveva la storia della Russia, al di qua della ex cortina di ferro non è stato dato peso alle sue parole, che però erano accessibili liberamente. Ora le piattaforme con Facebook e Twitter hanno scelto di oscurare questi canali, ma non è chiaro se sia un bene o un male.

Su due fronti diversi si schierano gli interlocutori. “Personalmente – ha premesso Bentivegna – ero d’accordo anche con la decisione di Facebook e Twitter di bannare Trump, anzi, l’avrebbero dovuto fare prima! Soggetti con un potere così grande non possono non essere ritenuti responsabili di quello che dicono”. Ugualmente, allora, si possono colpire realtà come Russia Today e Sputnik che diffondono disinformazione, e il rischio che si creino le cosiddette “camere d’eco” è meno forte di quanto si possa credere, secondo la sociologa. “Le ricerche sul tema dicono che le camere d’eco da una parte hanno pareti molto porose, dall’altra che al loro interno c’è ci vuole stare”. “La domanda da farsi, invece, è: se la Russia decide di costruirsela – chiudendo tv, testate, radio – la stessa cosa non vale per noi. Se noi vogliamo avere informazioni su quel mondo potremo continuare ad averle”. Se c’è una lezione da trarre da quanto successo, ha poi aggiunto Bentivegna, è di “non sottovalutare i report dell’intelligence americana” da una parte e poi la necessità di “recuperare la capacità di elaborare strategicamente alle informazioni che troviamo”.

Eppure, ha risposto Nicodemo, “se fosse stato applicato il Digital services act (regolamento sui servizi digitali, Dsa) paradossalmente Sputnik avrebbe potuto fare ricorso alla decisione di oscurarlo”. Secondo il ceo Lievito Consulting, “Trump e la Brexit non sono stati decisi dai social” e “la crescita della popolarità di Putin dipende dalla crisi delle democrazie occidentali e dalle mancate risposte delle élite occidentali, non dai social network. Non perdiamo di vista la luna guardando troppo il dito”.

L’importante, ha concluso Nicodemo, è che non si confondano le acque. “La russofobia di questi ultimi giorni, proprio in Italia, è preoccupante. Bisogna ricordare, invece, che questa è la guerra di Putin e i cittadini russi la subiscono. La Russia fa parte della storia europea, dobbiamo augurarci che l’Ucraina torni a essere un Paese libero e indipendente, ma anche che la Russia scopra la democrazia. Proprio perché siamo l’Europa e una democrazia liberale dobbiamo dimostrarci migliori”.

La crisi europea può trovare un simbolo in Zelensky, ha chiosato Bentivegna. “È importante avere dei simboli nei quali riconoscersi e da condividere”. Eppure, bisogna stare attenti a due fattori: la polarizzazione ormai evidente su tutti i livelli e diventata affettiva, e la stereotipizzazione: “Il mondo non è fatto di Zelensky contro Putin, di neri contro bianchi, di stereotipi che si scontrano. Ha senso continuare leggere il mondo in buoni e cattivi o è opportuno vedere la complessità dei processi? Spero che si possa ragionare su questo”.


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