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Unicredit pronta a salutare Mosca. Ma non è la sola

Il ceo Orcel in un incontro con il mercato apre alla ritirata dalla Federazione, che avrà un costo per l’istituto. Solo due mesi fa la banca italiana era a un passo dall’acquistare la russa Otktritie. Ma la lista dei saluti è lunga, da Goldman Sachs a Deutsche Bank

 

Sayonara, Mosca. Non si arresta l’emorragia di capitale dalla Russia, ormai prossima al default (domani la Federazione dovrebbe pagare 117 miliardi di cedole in rubli, una moneta che ad oggi vale poco più della carta straccia). Banche, industrie, finanziare, stanno abbandonando il Paese in fase di dissoluzione finanziaria e forse spinte anche dal timore di ritorsioni, alias nazionalizzazione coatta degli asset di chi decide di mollare gli ormeggi.

UNICREDIT SALUTA LA RUSSIA?

Tra i giganti italiani, l’annuncio più pesante è arrivato da Unicredit, che solo due mesi fa era a un passo dal comprare la banca russa Otktritie, salvo poi fare retromarcia. E oggi da Andrea Orcel, ceo di piazza Gae Aulenti, sono arrivate parole dal sapore di addio. Unicredit potrebbe lasciare il mercato russo, è la sintesi di Orcel, emersa nel corso di in un incontro con il mercato. “Il clima economico è cambiato con la crisi e Unicredit ora prevede un periodo di stagflazione”, ha spiegato il banchiere. Orcel ha aggiunto che la decisione è complessa e potrebbe richiedere tempo. “Stiamo considerando un’uscita, ma ovviamente dobbiamo bilanciare la complessità e le conseguenze delle nostre attività nel Paese”.

Bisogna però stare attenti all’esposizione dell’istituto italiano nell’ex Urss. Unicredit ha quantificato nei giorni scorsi in 7,4 miliardi la perdita massima che subirebbe azzerando le attività in Russia, inclusa quella cross border e legata ai derivati. Grazie al buffer di capitale in eccesso si tratta di un impatto assorbibile e compatibile con il pagamento di 1,2 miliardi di dividendi sul 2021. E Unicredit Bank Russia, spiegava una nota diffusa la scorsa settimana, ha una posizione creditoria autofinanziata di 7,8 miliardi a fine 2021. “Si tratta di 4 mila persone e le considero come colleghi e degli ottimi colleghi e 1.250 aziende europee hanno mantenuto le loro posizioni nei mercati in cui siamo presenti e si aspettano che le accompagniamo nel percorso di disimpegno”, ha chiarito Orcel.

Rimanendo nel campo italiano, anche Intesa SanPaolo nei giorni scorsi ha ventilato una retromarcia da Mosca. “La nostra presenza in Russia è oggetto di valutazione strategiche», ha spiegato un portavoce del gruppo guidato da Carlo Messina, che opera con 28 filiali e oltre 900 dipendenti.

L’ORA DEGLI ADDII

Ma la lista dei saluti è lunga. Goldman Sachs è la prima banca statunitense che lascia la Russia. Il colosso newyorkese ha annunciato pochi giorni fa l’intenzione di chiudere le sue operazioni nel Paese in risposta all’invasione dell’Ucraina. “Goldman Sachs sta chiudendo la sua attività in Russia”, ha affermato la società in una dichiarazione inviata via e-mail. “Ci concentriamo sul supportare i nostri clienti in tutto il mondo nella gestione o nell’estinzione degli obblighi preesistenti nel mercato e nel garantire la sicurezza del nostro personale”.

E dopo una giravolta è arrivato anche il commiato di Deutsche Bank. Il colosso tedesco “chiuderà le attività rimanenti in Russia mentre aiutiamo i nostri clienti multinazionali non russi a ridurre le loro operazioni. Non ci saranno nuovi affari in Russia”. E pensare che la dichiarazione era arrivata appena un giorno dopo che l’amministratore delegato Christian Sewing aveva affermato che la banca con sede a Francoforte non si sarebbe completamente ritirata dal Paese guidato da Putin. Ma qualcuno deve avergli fatto cambiare idea.

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