L’aggressione della Russia all’Ucraina è oggetto di analisi militari, politiche e giornalistiche, ma c’è un livello poco dibattuto di questo conflitto, quello che si svolge nello spazio intorno alla Terra, che ci deve far riflettere sul prossimo ordine mondiale, plasmabile dal fondatore di SpaceX (e Bezos, Thiel, Zuckerberg…). L’opinione dell’ingegnere ed esperto aerospaziale
Non c’è solo la Nato ad aiutare l’Ucraina fornendo armi e sostegni alla popolazione, ci sono ovviamente organizzazioni umanitarie e non governative che sono finanziate da privati. Il supporto di influenti e ricchi privati cittadini alla politica dei governi financo in tempi di guerra non è certo una novità, e il conflitto russo-ucraino ne è solo l’ultimo degli esempi. Il 12 marzo scorso prima dell’invasione russa in Ucraina, il quotidiano Sole24Ore ha pubblicato un articolo a firma di George Soros, presidente dell’Open Society Foundation, sulle conseguenze mondiali di un accordo stabile tra Russia e Cina.
Soros scriveva testualmente “…all’inizio degli anni 80 mi sono imbarcato in ciò che mi piace chiamare la mia filantropia politica e ho creato una fondazione in Ungheria, dove sono nato, e ho partecipato attivamente alla disintegrazione dell’impero sovietico”. In che modo egli possa aver contribuito a far crollare l’Unione Sovietica possiamo immaginarlo pensando all’uso diversificato delle sue società finanziarie globali al fine di fiaccare l’economia sovietica e di propagandarne il fallimento, e non c’è da dubitare che egli stesso stia anche ora “partecipando attivamente” – per usare la sua terminologia – a contrastare l’invasione russa in Ucraina.
Pertanto non deve stupire oggi leggere i tweet di Elon Musk, uno degli uomini più ricchi del pianeta e fondatore della Tesla e della SpaceX, il quale sfida Putin a un duello di arti marziali per risolvere il conflitto in Ucraina. In realtà, lo scontro tra i due si gioca a più livelli, anche nello spazio extra-terrestre. Ma le conseguenze sono tutte terrestri. Musk ha inviato in Ucraina decine di camion per mettere a disposizione migliaia di terminali satellitari con cui collegarsi ai suoi satelliti Starlink e così oltre centomila ucraini, civili e militari, possono connettersi con tutto il mondo comunicando via internet a banda ultra-larga bypassando le infrastrutture terrestri bombardate dai russi.
E qui bisogna collegare i puntini di un puzzle più ampio. Nel 2021, il parlamento di Mosca voleva promulgare una legge per multare individui o aziende che usano Starlink sul territorio russo perché questi servizi satellitari sfuggono alla rete di controllo governativa. L’iniziativa parlamentare russa non sembra essere andata avanti ma le dispute economiche hanno molti modi per manifestarsi. A novembre 2021 i russi hanno effettuato un lancio missilistico anti-satellite distruggendo un loro satellite in disuso e cospargendo l’orbita bassa di pericolosi detriti.
La quasi totalità degli osservatori si sono affrettati a chiamare quest’azione un test per darne una valenza meramente dimostrativa, ma come avevamo riportato qui riteniamo che con tutta probabilità quel lancio Asat non sia stato un test ma un’azione deliberata proprio nei riguardi della SpaceX che in quella fascia orbitale stava collocando molti satelliti Starlink. Lo stesso Musk aveva ammesso di averne dovuto spostare molti per schivare i detriti e oggi sembra prendersi una rivincita mediatica e tattica mettendo a disposizione degli ucraini i suoi satelliti Starlink per contrastare i russi.
Tralasciando per il momento l’inquietante interrogativo su cosa potrebbe accadere se Mosca decidesse a questo punto di abbattere direttamente i satelliti Starlink, è indubbio che nel mondo occidentale l’iniziativa di Musk suscita grande empatia al punto che molte persone su Internet si sono rivolte al tycoon per chiedergli persino di spegnere le automobili Tesla connesse via satellite e di proprietà di facoltosi cittadini russi. L’azienda californiana non sembra aver dato seguito a queste domande e, giusto per annotazione, va rilevato che peraltro la casa automobilistica per costruire le proprie Model T acquista alluminio dall’azienda russa Rusal, una delle più grandi fornitrici mondiali di alluminio e che finora è stata esclusa dalle sanzioni occidentali. Contraddizioni della globalizzazione.
Comunque se qualcuno dovesse stupirsi al solo pensare che un multimiliardario possa avere un potere del genere – in questo caso spegnere automobili in giro per il mondo – bisogna ripensare alle parole di George Soros citate prima o, per restare a un ambito più attuale, a osservare come si comportano i social media che censurano a loro discrezione contenuti ritenuti (da loro) non adatti. Non si può non riconoscere come oggi la tecnologia spaziale unitamente alla cosiddetta Infosfera digitale, stia modificando sempre di più il nostro modo di vivere.
Secondo molti analisti l’invasione dell’Ucraina ha messo fine al fenomeno della globalizzazione così come l’abbiamo conosciuto sino a ora e questo però potrebbe non essere una notizia negativa se le catene di approvvigionamento fossero aggiornate in modo sostenibile e se il liberismo sfrenato fosse sempre di più contenuto nei princìpi democratici di protezione sociale e di piena occupazione, e non solo di mero profitto. Ma il rischio di un’illusione ottica esiste.
C’è chi oggi vede in Elon Musk un simbolo della vera sfida economica in atto tra i sistemi democratici e i regimi autocratici, e le sue iniziative a favore dell’Ucraina non fanno altro che produrre empatia e approvazione per chi vive in stati democratici. Però leggendo oltre la patina emozionale bisognerebbe chiedersi cosa significa il fatto che dei capitalistici campioni della globalizzazione mettano in campo, persino nel pieno di conflitti tra stati, la propria potenza tecnologica oltre che finanziaria – in questo senso potrebbero definirsi dei capitalisti 2.0, alla post-Soros per intendersi – per la causa della libertà democratica che oggi si identifica con quella dell’Ucraina.
Negli anni passati i campioni della globalizzazione sono rimasti quasi sempre al riparo mediatico dalle plateali scelte politiche e, a meno che non avessero deciso di scendere direttamente sul terreno elettorale, si mantenevano il più possibile equidistanti in modo da evitare di alienarsi mercati e business globali. Oggi però sta cambiando anche questo paradigma capitalistico e le grandi corporations, le cui capitalizzazioni equivalgono quelle di stati sovrani, scendono su un terreno di guerra non solo ideologico ma anche combattuto sul campo, come la sfida di Musk a Putin sta a dimostrare. Ciò avviene perché il fondatore di SpaceX, al quale bisognerebbe accostare anche Jeff Bezos, Peter Thiel, Marc Zuckerberg e altri che verranno, sono oggi nella condizione, forse unica nella storia moderna, di poter plasmare direttamente il prossimo ordine mondiale, sulla Terra come nello spazio cibernetico ed eso-atmosferico, coniugando tecnologia e finanza, entrambe in loro pieno controllo.
Spia luminosa di tale situazione è la vicenda di Jack Ma in Cina, fisicamente sparito dalla circolazione nel 2021 dopo aver apertamente criticato il sistema di regole cinese attirandosi le ire del presidente Xi Jinping. La sua epurazione aveva dimostrato per l’appunto la dicotomia ideologica tra le due forme di capitalismo politico mondiale, quello statunitense e quello cinese, rappresentando plasticamente cosa si rischia a vivere in un’economia a elevata autarchia.
Però l’alternativa potrebbe essere un benessere veicolato da una nuova globalizzazione tecnologica con formali caratteristiche di libertà ma di fatto incardinata sui binari di un cogente capitalismo di sorveglianza. Se in difesa della libertà si reclama la privazione persino della possibilità di accendere la propria auto elettrica e iperconnessa, il punto non è tanto guardare il “dito” di chi ora fa una tale richiesta – oggi all’apparenza paradossale e distopica – quanto osservare la “luna” costituita dal fatto che una tale tecnologia è fattibile e disponibile nelle mani di un singolo individuo. Di certo non siamo disposti ad accettare e sopportare la vita in guerra ma dovremmo essere consapevoli che potremmo doverne tollerare una in un mondo diversamente globalizzato a libertà democraticamente distillata.