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Lo scontro sulle Generali arriva anche in Parlamento. Ma la Borsa approva

Da quando l’asse Caltagirone-Del Vecchio ha alzato il tiro il titolo ha ricominciato a correre, toccando i massimi dal 2008. Questo potrebbe avere un impatto non indifferente sui fondi, facendone l’ago della bilancia. Intanto tra lo strappo di Marattin e il licenziamento di Cirinà, candidato ceo degli (ex) pattisti, la temperatura sale

Più che una battaglia, l’impressione è quella di uno scontro in campo aperto. Alle Generali, dopo il silenzio assordante dei primi due mesi dell’anno, è tornata a salire la tensione. La posta in gioco, come raccontato più volte da Formiche.net, è di quelle che pesano: il controllo della governance del Leone, tra i primi gruppi assicurativi in Europa. Gli schieramenti sono sempre gli stessi, anche se sono sopraggiunte delle variabili, una delle quali potrebbe essere decisiva: la Borsa.

Da una parte il nocciolo Mediobanca, azionista forte e storico al 12,8% della compagnia triestina ma con il 17,2% dei diritti di voto, grazie al prestito titoli della scorsa estate. Dall’altra l’asse Francesco Gaetano Caltagirone e Leonardo Del Vecchio, quest’ultimo peso massimo in Mediobanca, rispettivamente soci al 9,5, al 6,6%, unitamente a Fondazione Crt, che del capitale possiede l’1,538% per un blocco complessivo che vale il 16,1% del Leone.

In mezzo, il ceo del gruppo assicurativo Philippe Donnet, la cui firma è sull’ultimo piano industriale delle Generali e che il blocco antagonista vorrebbe far cadere nell’assemblea del 29 aprile, facendo passare una lista di consiglieri alternativa, che annovera, tra gli altri l’ex presidente di Cdp e della spac Revo, Claudio Costamagna. Non sarà facile portare a termine il ribaltone, Donnet gode ad oggi di una posizione tutto sommato solida, anche se il lavoro ai fianchi dei soci (ex) pattisti prosegue, incessante.

Per questo il fattore Borsa sarà decisivo, specialmente in ottica fondi azionisti che, allietati dallo sprint del titolo potrebbero spostare l’asse delle liste all’ultimo miglio, in vista dell’assemblea. I numeri parlano chiaro. Ieri il titolo del Leone è salito del 3,71% a 20,11 euro. Era dal 2008 che il gruppo di Trieste non sfiorava una capitalizzazione di 32 miliardi e ieri Generali valeva più di quanto stimano la media degli analisti, ovvero 19,93 euro per azione.

Certamente, il clima intorno alle Generali è a dir poco teso. Luciano Cirinà, numero quattro del gruppo, è stato licenziato dal board dopo 33 anni di servizio. Proprio l’uomo che Caltagirone ha indicato come ad e successore di Donnet. Il manager è negli Stati Uniti con Costamagna per un roadshow in cui illustrerà agli investitori i piani per il miglioramento della governance.

Senza considerare che il dossier Generali è sbarcato a palazzo. Il 5 aprile Donnet è stato convocato a Roma in audizione alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema bancario, per spiegare i motivi per cui il futuro del Leone sarà deciso in assemblea da un duello all’ultimo voto tra le liste. C’è chi non ha gradito, abbandonando la commissione guidata da Carla Ruocco.

Luigi Marattin si è dimesso con toni polemici. “Alla vigilia dell’assemblea che dovrà eleggere il nuovo cda di una società privata una delle due parti viene chiamata in audizione per esporre dettagliate informazioni di bilancio, e per chiedere conto di decisioni interne riguardanti la concessione dell’aspettativa ad un proprio dirigente. Si entra pesantemente in una partita di governance societaria dalla quale la politica dovrebbe stare fuori”. Insomma, veleni dentro e fuori il Leone.

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