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Pakistan, nuovo primo ministro e vecchi problemi

Nuovo primo ministro in Pakistan. Ora l’incognita è capire come reagiranno i sostenitori di Khan, che l’ex premier ha già invitato a protestare contro un governo che denuncia essere frutto di una cospirazione di Washington

Il parlamento pakistano ha eletto il leader della precedente opposizione Shahbaz Sharif come nuovo primo ministro del Paese, dopo un’astensione dei legislatori del partito del premier spodestato Imran Khan.

Sharif era l’unico concorrente, la sua nomina era annunciata fin dall’inizio della crisi di governo in cui nell’ultima settimana sono sfociate le tensioni politiche che durano da settimane.

Il nuovo premier è il fratello dell’ex primo ministro Nawaz Sharif, che ha governato dal 2013 al 2017, prima che la Corte Suprema decidesse per la sua rimozione legata a un caso di corruzione collegato ai Panama Papers (nel 2018 è stato arrestato, condannato a 10 anni di carcere in un processo che ha riguardato l’acquisto, da parte di alcuni membri della sua famiglia, di appartamenti di lusso a Londra).

L’elezione di Sharif riuscirà a garantire un percorso pacifico? Il nuovo premier sarà in grado di risolvere i molti problemi economici del Pakistan, tra cui l’alta inflazione e una crisi energetica in aumento? Sono questi i due grandi interrogativi che riguardano gli equilibri di Islamabad — che visto il coinvolgimento del Paese in vari dossier internazionali diventano un’attenzione di prima importanza.

Shahbaz Sharif è stato eletto con 174 voti a suo favore dopo che più di 100 legislatori del Pakistan Tehreek-e-Insaf di Khan, o Partito della Giustizia del Pakistan, hanno inscenato un’uscita dall’Assemblea Nazionale per protesta. L’ex opposizione gestirà un governo che potrà contare su una piccola maggioranza (quei 174 legislatori), che è sufficiente per approvare le leggi nell’assemblea di 342 posti, ma non per stare troppo al sicuro da eventuali dinamiche politiche avverse.

Khan, una ex stella del cricket la cui ideologia islamista conservatrice e le cui prese di posizione populiste hanno caratterizzato i suoi tre anni e otto mesi di mandato, è stato estromesso dall’ufficio sabato scorso, dopo aver perso un voto di sfiducia in Parlamento — voto che aveva cercato di far saltare, salvo poi doverlo riconvocare su obbligo imposto dalla Corte Suprema. L’opposizione ha spinto Khan fuori con 174 voti: due in più della maggioranza semplice richiesta, gli stessi su cui può contare Sharif.

Uno dei problemi al momento riguarda i disordini che potrebbero crearsi se i seguaci di Khan dovessero scendere in strada — come lui stesso ha annunciato. La deriva violenta non è da escludere. In quel caso si creerebbe un’ulteriore pressione sul Parlamento e si aggraverebbe la crisi.

Domenica 10 aprile, Khan ha provato una dimostrazione di forza che non fa ben sperare per i successivi passaggi, radunando migliaia di sostenitori per protestare contro quello che chiama “governo imposto”. Khan ha attinto al sentimento anti-americano nel Paese, cresciuto anche per la penetrazione strategica cinese, e ha accusato Washington di cospirare con i suoi avversari per rovesciarlo.

La sua teoria del complotto risuona tra i giovani, che costituiscono la spina dorsale dei sostenitori del suo partito: sono stati loro a dominare la folla durante le manifestazioni, in cui hanno lanciato slogan di sostegno al loro leader molto simili e a cori da stadio. È questa base che spesso vede la guerra al terrorismo post 9/11 di Washington come ingiustamente rivolta al Pakistan. È qui che Khan cerca di costruire narrazione e consensi.

L’ex primo ministro sostiene che l’opposizione è collusa con Washington per rovesciarlo, presumibilmente a causa della sua politica estera indipendente che favorisce la Cina e la Russia. È stato anche criticato per una visita che ha fatto il 24 febbraio a Mosca, dove ha avuto colloqui con il presidente russo Vladimir Putin mentre i carri armati russi entravano in Ucraina.

Il dipartimento di Stato americano ha negato qualsiasi coinvolgimento nella politica interna del Pakistan, ma Khan cita un episodio preciso per giustificare la sua linea. Il ministero degli Esteri pakistano avrebbe ricevuto il 7 marzo, il giorno precedente la presentazione della mozione di sfiducia da parte dell’opposizione, la trascrizione di una conversazione tra un diplomatico pachistano e uno di un altro Paese. Nel colloquio c’era un avvertimento: al primo sarebbe stata trasmessa l’insoddisfazione dell’Occidente per la posizione del Pakistan sull’Ucraina e sarebbe stato detto che i futuri contatti bilaterali sarebbero stati determinati dall’esito della mozione. Gli Stati Uniti sono il Paese accusato di aver inviato il messaggio, mentre i due diplomatici sono stati identificati come l’ex ambasciatore del Pakistan a Washington, Asad Majeed, e il vicesegretario di Stato statunitense per gli affari dell’Asia
centrale e meridionale, Donald Lu.

Non ci sono prove dell’accaduto e la Casa Bianca ha negato i fatti come “senza verità”.

L’esecutivo di Sharif si basa su una coalizione composta da partiti anche piuttosto diversi, dalla sinistra ai gruppi religiosi radicali. I due maggiori partiti sono la Lega Musulmana del Pakistan, guidata proprio dal nuovo premier, e il Partito del Popolo del Pakistan, co-presieduto dal figlio e dal marito dell’ex primo ministro ucciso Benazir Bhutto.

Si tratta di leadership particolari che dimostrano come in Pakistan poche famiglie ricche e potenti dominino la politica da decenni, con il potere che più spesso si alterna tra i campi Sharif e Bhutto. Entrambi i casati politici sono stati accusati, e a volte condannati, per corruzione diffusa. Accuse sempre negate.

A parte la storia di Nawaz Sharif e i Panama Papers, Asif Ali Zardari, il marito della figlia di Bhutto, che è stato presidente del Pakistan dal 2008 al 2013, ha passato più di sette anni in prigione, condannato per corruzione.

Shahbaz Sharif è stato tre volte capo ministro della più grande e influente provincia pakistana del Punjab, dove vive il 60 per cento dei 220 milioni di abitanti del paese. Suo figlio Hamza è stato eletto dal parlamento provinciale del Punjab la settimana scorsa come nuovo ministro capo, spodestando il candidato di Khan, il cui partito sta contestando l’elezione e il giovane Sharif deve ancora prestare giuramento.

Khan era salito al potere nel 2018, promettendo di rompere questo dominio familiare che riguarda la politica in Pakistan, ma i suoi oppositori hanno sostenuto che ha vinto le elezioni con l’aiuto dei militari, che hanno governato il Pakistan per metà dei 75 anni di storia del Paese e mantengono un ruolo molto potente.

Ora quel supporto sembra mancare, con il capo delle forze armate, il generale Qawar Javed Bajwa, una figura chiave del Paese, che è sembrato pressare per una sostituzione del capo del governo anche per risistemare la posizione pakistana nel quadro degli affari internazionali.



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