La banca centrale chiama a raccolta gli istituti e invita a riaprire i rubinetti del credito a quelle aziende già con un piede nella fossa proprio a causa dei prestiti non rimborsati. E così vecchio debito chiama nuovo debito e la storia si ripete
Dopo la grande paura di finire davvero con le gambe all’aria, il Dragone torna al punto di partenza. E cioè, ricomincia a pompare quattrini nelle tasche bucate dei grandi gruppi immobiliari e degli enti locali, entrambi indebitati fino al collo e incapaci di rimborsare da oltre un anno i propri creditori. E pensare che, come raccontato da Formiche.net, nemmeno un anno fa Pechino aveva dato un taglio netto con un passato fatto di salvataggi con soldi pubblici senza se e senza ma. Chi navigava in cattive acque, si disse allora, a cominciare da Evergrande, avrebbe dovuto vedersela da solo.
Adesso, contrordine. Di nuovo prestiti a tutto spiano con la ragionevole prospettiva di aggiungere debito al debito. Perché quello che per il governo è un soccorso alle imprese che non stanno in piedi sulle proprie gambe, in realtà altro non è che una esposizione che si va a sommare a quella vecchia, preesistente. E il rischio di non vedere più i soldi prestati, dando origine a una nuova catena di insolvenze, è alto. Proprio in questi giorni, la banca centrale cinese ha ha invitato le banche di territorio, quelle più legate a doppio filo alle imprese e alle economie locali, ad allentare le restrizioni su alcuni prestiti, ricominciando a erogare credito.
Più nel dettaglio, la People’s Bank of China, l’istituto centrale dell’ex Celeste Impero, la scorsa settimana ha tenuto una riunione con circa 20 banche e società di gestione patrimoniale per aiutare a risolvere le crisi di una dozzina di grandi imprese immobiliari tra cui la stessa Evergrande e Shimao, ambedue con un piede nell’insolvenza. Obiettivo dichiarato, ha scritto Bloomberg, allentare i requisiti su una serie di finanziamenti, dai prestiti per le acquisizioni immobiliari all’estensione delle scadenze del debito. E lo stesso sarebbe stato deciso per gli enti locali, ovvero i governi delle immense province cinesi. Più soldi nelle casse di aziende e governi, ma anche più debiti.
Un vertice che nei fatti sovverte la strategia del si salvi chi può e chi non può pazienza per lui, durata a questo punto dieci mesi scarsi. Ma soprattutto, un segnale della preoccupazione nel governo di Xi Jinping circa la tenuta dell’economia cinese. L’elenco dei problemi, strutturali, del Dragone è d’altronde lungo. Tanto per cominciare, la sfiducia ormai cronica degli investitori verso il debito cinese, sovrano o societario che sia: in tre mesi, tra gennaio e marzo 2022, sono stati emessi bond per poco meno di 300 milioni, rispetto ai quasi 9 miliardi dello stesso periodo di un anno fa. Una vera e propria siccità obbligazionaria che ben dimostra come la crisi generata da Evergrande si stia diffondendo in tutto il mercato, diventando sistemica.
Poi c’è la fuga dei capitali, conseguenza nemmeno troppo indiretta dell’appoggio (ambiguo, a dire la verità) di Pechino all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Il fondo sovrano norvegese, con in pancia 1.300 miliardi di dollari ha sbattuto la porta in faccia alla richiesta di aiuto e sostegno pervenuta da un colosso dell’abbigliamento sportivo. Ancora, secondo alcune fonti qualificate, i fondi di private equity che operano in dollari statunitensi e che investono in Cina hanno raccolto nel loro complesso solo 1,4 miliardi di dollari nel primo trimestre – la cifra più bassa dal 2018, nel medesimo stesso periodo.
E infine c’è l’invecchiamento della popolazione, forse il vero spauracchio di Pechino. Che nei giorni scorsi, ha calato l’asso. Sotto forma di programma pensionistico privato che consentirà ai dipendenti delle aziende di investire in prodotti finanziari, alternativamente al tradizionale fondo pensione. Più nello specifico, sarà possibile contribuire fino a 12.000 yuan (1.863 dollari) all’anno, sottoscrivendo alcuni strumenti finanziari emessi dalle banche private e immettendo così liquidità nel mercato. Un contributo che andrebbe ad affiancarsi al normale versamento nell’ambito della previdenza pubblica cinese.