Gli Houthi mandano un messaggio di speranza per costruire un percorso di pacificazione che adesso è cercato da tutti gli attori (ma con condizioni)
Il capo del Consiglio politico supremo degli Houthi, il gruppo che nel 2015 ha lanciato la guerra civile in Yemen, domenica 22 maggio ha dichiarato che la sua organizzazione non è contraria all’estensione della tregua mediata dall’Onu, nonostante la descriva come “non abbastanza incoraggiante”.
La tregua nazionale di due mesi con la coalizione a guida saudita che da sette anni fatica a contenere le avanzate del gruppo Houthi — che riceve sostegno finanziario dall’Iran — è la prima dal 2016. Entrata in vigore il 2 aprile, ha in gran parte retto fino a questo momento.
Per tale ragione, le Nazioni Unite chiedono una proroga da cui poter aprire la strada a negoziati politici più ampi, attraverso i quali porre fine a una guerra che ha causato decine di migliaia di morti e una crisi umanitaria tra le più gravi dell’ultimo decennio.
“Affermiamo di non essere contrari all’estensione della tregua, ma ciò che non è possibile è accettare una tregua in cui le sofferenze del nostro popolo continuano [a essere ignorate]”, ha detto il leader Houthi Mahdi al Mashat. Parlava in un discorso trasmesso da Al Masirah TV, il principale canale televisivo gestito dal movimento yemenita, e anche per questo le sue parole acquisiscono maggiore importanza.
Come logico, gli Houthi usano canali informativi di ogni genere per spingere la propria narrazione e propaganda. Se nella comunicazione (strategica) di al Mashat si parla di prolungare il fermo delle armi, allora ci sono concrete possibilità. “Chiedo una cooperazione genuina e incoraggiante che porti a migliorare i benefici umanitari ed economici di qualsiasi tregua imminente”, ha aggiunto, perché pur nelle sue aperture il gruppo non può dimenticare la difesa dei propri interessi.
La tregua sta offrendo un barlume di speranza in un Paese in cui la guerra e il conseguente collasso economico hanno lasciato milioni di persone alla fame. Dietro all’avvio di un dialogo più concreto in questa fase ci sono anche ragioni più pragmatiche e legate alla politica internazionale.
Una pace potrebbe infatti fornire a Riad un’uscita da un conflitto costoso, un pantano più volte definito “Vietnam saudita”, che è un punto di frizione con Washington. Anche per questo i sauditi stanno fornendo spinta sui negoziati.
Il conflitto è visto anche come una guerra per procura tra Arabia Saudita e Iran. Gli Houthi dicono di combattere un sistema corrotto e l’aggressione straniera secondo un’agenda propria, tuttavia la spinta dei Pasdaran — che forniscono armi e infuocano la battaglia — è un elemento di rilievo.
Riad e Teheran hanno avviato una fase di distensione di una storica rivalità — ideologica, sunniti contro sciiti, e geopolitica. Uno degli elementi per valutare se questa distensione ha spazi di implementazione è proprio il conflitto in Yemen. La tregua per ora rientra in un allineamento tattico — misurato e sorvegliato — di cui i vari attori della regione sono protagonisti dai mesi successivi all’esplosione della pandemia.