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C’è una questione settentrionale con il golden power

Tutti e sei i casi in cui il governo ha bloccato operazioni riguardano società attive nel Nord Italia finite nel mirino di Russia e Cina. Serve un piano, come per il 5G

In Italia c’è una questione settentrionale che riguarda gli investimenti stranieri in settori strategici. Non è un caso che l’ipotesi di indennizzi in favore dei proprietari delle aziende su cui scattano veti o prescrizioni che inducono a rinunciare a un operazione notificata ai sensi della normativa sui poteri speciali fosse arrivata da Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo economico e numero due della Lega, espressione nel Carroccio delle istanze più “nordiste”.

In quasi 18 mesi da presidente del Consiglio, Mario Draghi ha esercitato i poteri speciali per fermare sei operazioni, cinque riguardavano investimenti dalla Cina e uno un’operazione dalla Russia.

Questo, il più recente, coinvolgeva l’azienda friulana Faber Industrie Spa: Palazzo Chigi ha bloccato l’acquisizione del 99,41% delle quote da parte di una sussidiaria del colosso nucleare russo Rosatom. Prima c’erano stati i casi “cinesi”. Uno nel settore dei droni: Alpi Aviation, anch’essa friulana. Uno in quello delle sementi: Verisem, gruppo di aziende leader del settore che comprende diverse realtà del Nord Italia. Uno in quello della robotica: Robox, con sede nel Novarese. Due in quello dei semiconduttori: Applied Materials Italia, ex Baccini Spa, di San Biagio di Callalta (Treviso); Lpe di Baranzate (Milano).

In una recente intervista al Sole 24 Ore, Roberto Chieppa, segretario generale della presidenza del Consiglio, ha escluso l’ipotesi di possibili misure di indennizzo. Piuttosto, ha spiegato, “aumentare la prevedibilità delle decisioni può consentire alle imprese di meglio orientare i propri investimenti e assumere scelte compatibili con l’interesse nazionale”. Lo stesso, che per 7 anni ha occupato l’incarico di segretario generale all’Antitrust, ha invitato a “rifuggire dalle tentazioni dirigistiche” sottolineando che “il golden power non è uno strumento di politica industriale” evidenziando la “necessità di essere un Paese attrattivo per gli investimenti esteri”.

La sfida per l’Italia è proprio questa: difendere i settori strategici (aspetto su cui il governo Draghi ha incassato i complimenti dell’amministrazione statunitense) evitando di lasciare senza benzina le aziende.

Torna alla mente la questione del 5G: il cosiddetto rip&replace, cioè rimozione e sostituzione, delle componenti “made in China” (Huawei e Zte) per ragioni di sicurezza nazionale e internazionale (si pensi all’ambito Nato) implica costi ingenti. Questo potrebbero spingere i Paesi interessati e i loro alleati, a partire dagli Stati Uniti, a mettere in piedi piani d’investimento ad hoc per evitare da una parte che potenze straniere e con obiettivi strategici opposti possano aumentare la loro influenza, dall’altra che questo processo di diversificazione sia troppo lento frenando l’innovazione.



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