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Tra G7 e summit Nato. Perché oltre alle sanzioni, Kiev ha bisogno di armi

La Russia attacca le città, bombarda obiettivi civili in tutto il Paese e avanza nel Donbas. Per Gressel (Ecfr) c’è bisogno di aumentare le forniture di armamenti a Kiev, perché solo una “sconfitta militare ridurrebbe le sue ambizioni geopolitiche” di Putin. Che intensifica gli attacchi per fare pressione su G7, Nato summit e popolazione ucraina

“Restiamo uniti a sostegno dell’Ucraina. Se perde, tutte le democrazie perdono e sarà difficile sostenere che la democrazia è un modello di governo efficace. [Vladimir] Putin non deve vincere”, ha detto il presidente del Consiglio Mario Draghi dal G7 di Schloss Elmau. “Siamo uniti: Putin non deve vincere questa guerra”, ha detto il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, durante la conferenza stampa conclusiva del vertice – che precede di poche ore l’inizio del summit Nato di Madrid.

Molti governi occidentali hanno affermato qualcosa di simile: l’Ucraina non dovrebbe perdere e la Russia non dovrebbe vincere questa guerra. Quanto è realistica questa affermazione dipende da due fattori interconnessi: il primo è la tenuta delle forze ucraine davanti all’offensiva russa, il secondo è l’arrivo di rifornimenti militari a Kiev. I pianificatori russi prevedevano una guerra rapida, gli ucraini hanno risposto con capacità e valore: quattro mesi di conflitto dicono che ancora niente è deciso.

Mentre sale il bilancio delle vittime dell’attacco missilistico di lunedì pomeriggio contro il centro commerciale a Kremenchuk (20 morti e 59 feriti, 40 dispersi, tutti civili secondo l’ultimo briefing fornito dall’Ufficio presidenziale), il Cremlino risponde alla posizione occidentale: la guerra finirà quando l’Ucraina deciderà di arrendersi.

Negli ultimi tre giorni, la Russia avrebbe lanciato 60 missili (da navi e aerei). L’intensificazione è forse legata al G7 e al Nato Summit, con molti degli obiettivi colpiti fuori dal teatro di battaglia orientale. Possibile tattica per spaventare la popolazione e pressare l’amministrazione di Kiev. Anche la capitale è stata colpita, e pure un centro di addestramento delle truppe ucraine vicino alla frontiera polacca.

Gli Stati Uniti hanno ventilato durante il G7 la possibilità di dotare Kiev del “Nasams”, sistema terra-aria con raggio fino a 150 chilometri, prodotti sia dagli americani ma anche dalla Norvegia. Formerebbero uno scudo (o parte di esso) contro i bombardamenti missilistici russi. Potrebbe essere disponibile già i primi di luglio sul campo.

La ritirata ucraina da Severodonetsk ha segnato un punto per la Russia. La città era contesa da settimane, l’ingresso dei russi pone una riflessione sulle reali capacità belliche ucraine, o meglio su quanto sia necessario adesso incentivare l’assistenza militare.

Gli americani hanno comunicato che gli ucraini stanno “usando molto bene” gli Himars, artiglieria tattica (lanciarazzi multipli) di cui Kiev è stata dotata sempre dagli Stati Uniti (la scorsa settimana è arrivato la seconda spedizione). Gli attacchi sui depositi di munizioni russi a Alchevsk e Zymohirya sarebbero stati compiuti proprio con gli Himars (o forse coi semoventi PzH2000 forniti dalla Germania). Addirittura si parla anche di un potenziale impiego in funzione terra-mare, con lanci dalle coste del Mar Nero verso la contesissima isola dei Serpenti.

Sempre in questi giorni è uscita la notizia (sul New York Times) della presenza di alcuni commandos della Cia sul suolo ucraino. Mentre Kiev sta comunicando l’efficacia degli armamenti occidentali ricevuti — per dare morale alle truppe, per chiederne di altri e nuovi, per avvisare l’avversario — anche Washington e gli alleati stanno alzando la retorica sulla deterrenza.

È in corso “la più grande revisione della deterrenza e difesa collettiva della Nato dai tempi della Guerra fredda”, per usare le parole con cui il segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Jens Stoltenberg, ha definito le previsioni di potenziamento dei sistemi di difesa avanzati che verranno discussi al vertice Nato di Madrid — che inizierà domani 29 giugno. Secondo Gustav Gressel, senior fellow del programma “Winder Europe” di ECFR, l’espansione della NATO Response Force (NRF) a 300.000 unità di cui si sta discutendo, è una buona cosa sulla carta, in quanto fornirebbe la forza complessiva per contrastare l’esercito russo.

“Tuttavia — continua l’esperto militare del think tank paneuropeo — dopo il 24 febbraio abbiamo visto la NATO aumentare solo lentamente e gradualmente la sua presenza militare sul fianco orientale, e a un ritmo molto più lento di quanto avrebbe previsto l’attivazione dell’allora NRF di 40000 uomini”. Per Gressel, ci sarebbe bisogno di “un impegno sostenuto e maggiore da parte dell’Europa occidentale”.

Contemporaneamente al tema della deterrenza militare, sta procedendo il programma sanzionatorio contro Mosca. Le potenze economiche del G7 hanno concordato di valutare la possibilità di imporre un divieto di trasporto del petrolio russo venduto al di sopra di un certo prezzo, con l’obiettivo di colpire il forziere di guerra del presidente russo. Un tetto al prezzo del petrolio (price cap) aumenterebbe le pressioni occidentali sulla Russia derivanti dalle sanzioni, che il cancelliere tedesco ha insistito per mantenere fino a quando “Putin non avrà accettato il fallimento in Ucraina”.

Per Gressel, le sanzioni più efficaci imposte alla Russia sono quelle contro l’industria russa della difesa: “La Russia è particolarmente vulnerabile per quanto riguarda alcuni pre-prodotti chimici (per la produzione di propellenti e altre applicazioni speciali), i robot industriali e gli strumenti di controllo della qualità, i cambi e le trasmissioni (per tutti i tipi di veicoli)”. Tuttavia anche in questo caso “è necessario colmare le lacune e creare un meccanismo di monitoraggio efficace”, aggiunge: “Altrimenti, la Russia continuerà a importare prodotti chiave con il pretesto dell’uso civile, o utilizzando brass-plate company in Paesi terzi per acquisire questi articoli illegalmente”.

Nel ragionamento di Gressel, al ruolo delle sanzioni è necessario di affiancare, e incrementare, quello degli aiuti militari. “Spezzare le sue capacità offensive fornendo a Kiev gli strumenti per farlo (carri armati, veicoli da combattimento di fanteria, artiglieria, difesa aerea) — spiega — sarebbe la soluzione più economica. Inoltre, l’esercito è il campo di gioco e il progetto preferito di Putin, e una sconfitta militare ridurrebbe le sue ambizioni geopolitiche”.

Putin sta già pensando a una politica di resilienza: con buone probabilità le sue ambizioni strategiche non saranno fermate da battute d’arresto economiche. Il Cremlino è pronto a sacrificare aliquote di prosperità – da far assorbire alla cittadinanza attraverso la narrazione – per mantenere la propria linea e vincere le proprie battaglie.



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