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Perché votare il 25 settembre non è un problema per gli ebrei. Parla Bendaud

Il coordinatore del tribunale rabbinico: “Positivo che la politica si interroghi sul voto agli ebrei e le relative limitazioni. Così si rispettano le minoranze. Ma la concomitanza con il capodanno ebraico non è un problema perché…”

Dopo la liquefazione di un governo e la prospettiva di elezioni imminenti ci si pongono sempre due ordini di interrogativi: i primi di carattere politico e i secondi – interconnessi – di carattere pratico. Stamattina le agenzie di stampa avevano rilanciato l’interrogativo che alcuni politici si erano posti circa l’opportunità di indire le votazioni il 25 settembre. Ossia in concomitanza con il capodanno ebraico.

Dunque, si è detto, impedendo agli ebrei italiani osservanti, in Italia o immigrati in Israele e con cittadinanza italiana, di poter esercitare un diritto fondamentale. Sì perché “durante Rosh haShana, vigono, per le persone osservanti, molte delle limitazioni che valgono per lo Shabbat, il sabato. Tra le quali non scrivere”.

A dirlo è Vittorio Robiati Bendaud saggista e coordinatore del tribunale rabbinico del Centro-Nord Italia, che ci spiega la posizione espressa dall’Unione delle Comunità Ebraiche la quale ha chiarito che “la data non pone ostacoli”.

“Il capodanno ebraico – spiega Bendaud – a differenza di altre festività, sia in diaspora che in Israele, dura due giorni. Dunque, Rosh haShana durerà dal tramonto del 25 (che è il giorno in cui ‘entra’ la festività) fino al sorgere delle stelle del 27”. Uno dei riferimenti biblici si trova nel computo dei giorni nella Genesi: “E fu sera e fu mattina, giorno uno”. Peraltro, questo elemento accomuna liturgicamente la religione ebraica e quella cristiana, derivata dalla prima.

“Non è un caso – riprende il saggista – che la messa del sabato, celebrata dopo i vespri o “Intra vesperas”, sia quella della domenica, che, invece, termina con i ‘secondi vespri’, ossia la sera. A ogni modo, il fatto che, comunque, la politica si sia interrogata, premurandosi di garantire a tutti il diritto al voto “è un segnale positivo – chiarisce il coordinatore del tribunale rabbinico – , che si muove nel solco dell’intesa che intercorre tra l’Unione delle Comunità Ebraiche e lo Stato Italiano”. Ma c’è qualcosa di più profondo, che ha a che fare con il concetto stesso di democrazia.

“La forza della democrazia – riprende Robiati Bendaud – consiste anche nella garanzia dei diritti delle minoranze. E quella ebraica è una minoranza che in Italia c’è da sempre ed è fondativa”. E a chi storce il naso alludendo all’esiguità della presenza ebraica in Italia? “Prima di tutto costui si dovrebbe interrogare sul proprio concetto di Stato democratico e di democrazia partecipativa – risponde – e, oltre a questo, dovrebbe documentarsi e approfondire. L’apporto degli ebrei per la ‘causa Italia’, soltanto considerando dal Risorgimento a oggi, è stato preziosissimo e vastissimo. Inversamente proporzionale al loro numero. Siamo orgogliosamente cittadini italiani”. Pare che, dissipati questi dubbi, la propensione sia quella di andare a votare proprio il 25.



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