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Il caso China construction rovina i sogni di una nuova Belt&Road

Il gigante statale delle costruzioni è il baricentro della nuova Via della seta, tutta transizione ecologica e infrastrutture, nonché principale stazione appaltante del Dragone. Ma il suo debito è raddoppiato in cinque anni, toccando livelli di guardia. E così lo spettro di Evergrande aleggia sui progetti cinesi

E pensare che a Pechino si lavora giorno e notte per una rivisitazione in chiave friendly della Via della seta. Come raccontato da Formiche.net, la Cina ha deciso di avviare una profonda riforma della belt&road, non più basata sulla realizzazione forsennata di porti e infrastrutture, bensì con un approccio più legato alla transizione energetica e alle energie rinnovabili. L’obiettivo, non dichiarato ma fin troppo palese, è ripulire l’immagine cinese dal marchio di predone di altre economie.

Lo dimostra, tra le altre cose, la richiesta delle autorità di regolamentazione cinesi alle principali banche statunitensi, come Goldman Sachs e Jp Morgan, di evitare di pubblicare ricerche politicamente sensibili prima del congresso nazionale. Una vera e propria supplica per impedire la caduta di nuove tegole sulla testa del leader cinese, come se le reali condizioni economiche e finanziarie dell’ex Celeste Impero fosse ignote a i più.

Al di là dei buoni propositi, le scorribande del Dragone in giro per il mondo rischiano di non avverarsi proprio. E questo per un motivo molto semplice: China construction corporation, il colosso statale delle costruzioni e principale impresa pubblica del Paese, naviga in cattive acque. La notizia acquista maggiore rilevanza se si considera che il gruppo è nei fatti la principale stazione appaltante di tutti i progetti legati alla Via della seta. In altre parole è perno e baricentro dell’intera belt&road cinese.

Il virus è sempre quello, l’enorme debito che tutto contagia e tutto attacca. Una specie di sindrome di Evergrande che ora arriva direttamente al cuore della Via della seta. Non c’è strada, ponte, porto o diga che in Cina non sia costruita da o per conto di China construction. Il quale ha sì registrato un utile netto di 30,5 miliardi di yuan (4,28 miliardi dollari) nel 2021, riportando un aumento del 70% rispetto al 2016. E il valore totale dei suoi contratti sta crescendo e il gruppo è in grado di assicurarsi nuovi accordi, ha affermato di recente China Chengxin International Credit Rating. Allora tutto bene? No.

Il gruppo ha infatti subito un durissimo colpo dalla crisi immobiliare che ha devastato l’economia cinese (il comparto vale tra il 25 e il 30% del Pil). Società immobiliari indebitate vuol dire anche meno appalti e calo della domanda di opere. E, soprattutto, ridotta capacità di rimborsare i prestiti. Risultato? Il debito totale di China construction è raddoppiato in cinque anni a 1,84 trilioni di yuan alla fine di giugno. Per fare un confronto, Evergrande aveva un debito di circa 2 trilioni di yuan nel giugno 2021. Dunque, almeno sul fronte del debito, le due società sono sullo stesso piano. Una spia di allarme? Forse sì.

(Photo by Li Yang on Unsplash)

 

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