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Debito e mattone, le mine di Mao-Xi (che fa lo struzzo)

Nessun cambiamento di rotta economica nel discorso di apertura del Congresso. Anni di crescita forsennata e a base di debito hanno innescato una bomba da 8mila miliardi di dollari nelle province. Banche di territorio ed enti locali rischiano l’insolvenza ogni giorno. Forse anche per questo Xi rimette nel cassetto le previsioni economiche del terzo trimestre, la cui pubblicazione prevista per domani è stata rinviata a dopo il Congresso

Xi Jinping sarà anche il nuovo Mao, leader indiscusso di quella Cina tanto potente quanto fragile. Ma se ne sta seduto da un pezzo su una polveriera. Bisogna sempre tenere a mente che la Cina è grande e che la seconda economia globale non è tutta concentrata presso le capitali della finanza, Schenzen e Shanghai su tutte. C’è anche un sistema periferico fatto di piccole imprese e piccoli prestiti. Che oggi attraversa la crisi più grande degli ultimi 30 anni.

XI FA LO STRUZZO?

Che l’economia cinese sia dentro un tunnel, al punto di essere quasi estromessa dall’agenda del governo per non oscurare tutto il resto, lo dimostra un fatto. L’Ufficio nazionale di statistica della Cina ha rinviato a data da destinarsi la pubblicazione dei dati relativi alla crescita economica nazionale nel terzo trimestre dell’anno, inizialmente attesa per domani, 18 ottobre, alle ore 10. Lo si apprende dall’aggiornamento delle pubblicazioni dell’ufficio: tutti i dati attesi questa settimana non verranno resi noti, almeno per il momento. Tra questi figurano la crescita del Pil nel terzo trimestre, la produzione industriale nel mese di settembre, la produzione energetica, gli investimenti, le vendite al dettaglio e i prezzi degli immobili. È probabile che il rinvio sia legato all’apertura dei lavori del Congresso del Partito comunista cinese, durante il quale il presidente Xi Jinping cercherà di ottenere un terzo mandato da segretario generale.

L’economia cinese ha sofferto un brusco rallentamento negli ultimi mesi, legato soprattutto alla crisi del settore immobiliare e agli effetti della politica di tolleranza zero verso il Covid-19, che ha portato al blocco di intere città e zone industriali anche di recente. Nel periodo aprile-giugno la crescita del Pil cinese è stata di soli 0,4 punti percentuali, il secondo livello più basso dal 1992. Ma non è finita.

LA BOMBA DEL DEBITO

Come raccontato più volte da Formiche.net, negli anni della corsa forsennata alle infrastrutture e della ricerca del Pil a doppia cifra a tutti i costi, le banche di territorio, su input di Pechino, hanno prestato enormi quantità di denaro alle imprese locali e agli enti, quali le province, per realizzare ponti, strade e, soprattutto, case. Ma la bolla immobiliare e il conseguente crollo dei prezzi, ha guastato la festa e così da una parte gli enti locali sono diventati insolventi verso le banche, mentre quest’ultime sono finite a corto di liquidità a causa dei finanziamenti non rientrati.

Un corto circuito che oggi vale la bellezza di 8 trilioni di dollari. A tanto, infatti, ammonta il debito accumulato negli anni dei governi locali cinesi, il costo di una crescita troppo spesso imbottita di steroidi e molto poco reale. Le stesse obbligazioni emesse dalle province, per tentare di raccogliere dal mercato i soldi necessari a ripianare il debito, sono a rischio insolvenza, hanno raccontato in questi giorni alcuni analisti finanziari. E, ovviamente, rappresentano un’altra minaccia per il presidente Xi Jinping, proprio mentre sta per infilarsi in tasca un terzo mandato. Gli esperti sono ogni giorno più convinti che Pechino dovrà presto intervenire con un vero e salvataggio delle proprie amministrazioni.

“Per evitare grandi default locali o danni alla ripresa economica, è ancora molto probabile che il governo intervenga per sostenere società statali strategicamente importanti e prevenire insolvenze che scatenerebbero eventi di stress finanziario localizzati”, ha affermato Yating Xu, economista principale presso S&P Global Market Intelligence. E che qualcosa in Cina stia franando sotto i piedi di Xi Jinping, ne sono convinti anche gli esperti dell’Atlantic Council.

Per i quali “la crescita economica della Cina, un tempo impetuosa, ha subito una battuta d’arresto. E ad oggi Xi non ha dato una via d’uscita dalla stagnazione degli ultimi due anni”. Nel suo discorso di apertura del Congresso, “non ha fatto, per esempio, alcun cenno alle politiche zero Covid, che hanno frenato i consumi interni e distrutto le piccole imprese”, spiegano gli esperti. “E non ha fatto alcun cenno all’impennata della disoccupazione giovanile, che nelle città cinesi sfiora il 20%. E non ha offerto alcun accenno a politiche concertate che possano alleviare la profonda crisi immobiliare del Paese e impedire che la crisi danneggi il sistema bancario”. Il piatto è servito. “Ignorare questi problemi comprometterà gli obiettivi di Xi di una maggiore crescita trainata dalla domanda interna e di una produttività più elevata, guidata dalla tecnologia”.

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