Ci sono prove che dimostrano come l’Iran sia riuscito ad acquisire componenti tecnologiche (non troppo sofisticate e per usi anche civili) con cui costruire i suoi droni. Gli stessi che fornisce alla Russia per sfiancare gli ucraini. Washington ha lanciato una task force per cercare di bloccare le vie che Teheran usa per aggirare le sanzioni
L’amministrazione Biden ha predisposto un’ampia task force per indagare su come componenti statunitensi e occidentali, tra cui microelettronica di produzione americana, siano finiti in droni di fabbricazione iraniana – compresi quelli che la Russia sta lanciando a centinaia verso l’Ucraina.
Gli Stati Uniti hanno imposto severe restrizioni al controllo delle esportazioni e sanzioni per impedire all’Iran di ottenere materiali di alto livello, ma sono emerse prove che suggeriscono che l’Iran stia acquisendo tecnologia tra quella disponibile in commercio. Il mese scorso, l’organizzazione investigativa Conflict Armament Research, con sede nel Regno Unito, ha esaminato diversi droni abbattuti in Ucraina e ha scoperto che l’82% dei loro componenti era prodotto da aziende con sede in Occidente (molte negli Stati Uniti).
È un problema ed è molto più ampio della faccenda in sé. Anche perché la commessa militare collegata ai droni iraniani forniti alla Russia è uno degli elementi che sta contribuendo in forma definitiva a rompere le relazioni potenziali tra Teheran e l’Occidente. Ancora più preoccupante se si pensa che quei droni sono usati dai russi per colpire infrastrutture civili in questa tragica fase della guerra che Vladimir Putin sta avvelenando di atti sempre più violenti contro i cittadini ucraini.
Alcune delle aziende coinvolte hanno condannato l’uso delle loro componenti e dichiarato che quanto è successo è fuori dalle loro volontà – e soprattutto è fuori dal loro controllo. Probabilmente è frutto di metodi trovati dall’industria bellica iraniana per aggirare le sanzioni e accedere a componentistica migliore di quella che è in grado di produrre la Repubblica islamica, D’altronde prodotti poco costosi e sofisticati destinati all’uso civile possano essere facilmente riadattati per scopi militari. Questi spesso non rientrano nei limiti delle sanzioni e dei regimi di controllo delle esportazioni. Da tempo inoltre si parla che società sotto copertura vengano impiegate per certi tipi di scambi.
Alcune delle aziende coinvolte non vendono in Iran come in Russia e Bielorussia, ma questo non impedisce a pezzi acquistati altrove di entrare in certi Paese ed essere poi riadattati e usati. Queste dinamiche sono difficili da intercettare. A inizio luglio, la Guardia di Finanza e l’Agenzia delle Dogane hanno per esempio scoperto e bloccato dei container arrivati nel porto di Gioia Tauro il cui contenuto, droni per l’appunto, potrebbe essere stato al centro di una triangolazione con cui la Russia avrebbe cercato di importare materiale “made in Usa” da impiegare nella guerra in Ucraina. Anche la Russia è d’altronde sotto sanzioni – sin dal 2014, anno dell’annessione della Crimea e dell’assalto al Donbas.
L’indagine statunitense si è intensificata nelle ultime settimane a causa delle informazioni ottenute dagli Stati Uniti, secondo cui il Cremlino si starebbe preparando ad aprire una propria fabbrica per la produzione di droni all’interno della Russia come parte di un accordo con l’Iran. Teheran avrebbe già dato iniziato al trasferimento di progetti e componenti per i droni in Russia.
Nella task force predisposta da Washington sono coinvolte diversi agenzie, tra cui i dipartimenti della Difesa, quello di Stato, della Giustizia, del Commercio e del Tesoro, e un funzionario ha descritto, parlando la CNN, l’indagine come un’iniziativa “all hands on deck“. Lo sforzo è supervisionato dal Consiglio di Sicurezza Nazionale della Casa Bianca come parte di un “approccio olistico” ancora più grande per affrontare l’Iran, dalla repressione dei manifestanti al programma nucleare, fino al ruolo nelle dinamiche mediorientali attraverso i proxy e a quello crescente nella guerra in Ucraina.
La notizia della task force è uscita mentre il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, era in viaggio verso Washington per incontrare alla Casa Bianca Joe Biden e per parlare al Congresso in seduta congiunta. I funzionari ucraini hanno cercato un dialogo con gli omologhi iraniani per chiedere lo stop all’assistenza verso la Russia, ma hanno ricevuto risposte fumose e zero-impegno. In questi giorni anche il capo della diplomazia europea, Josep Borrell, si è incontrato con l’omologo iraniano – ad Amman, nell’ambito di una conferenza diplomatica mediorientale – per parlare del dossier ucraino – e non solo.
La questione dei droni è considerata particolarmente urgente, perché sono un elemento di forza dell’attuale capacità di attacco russa. L’enorme volume di componenti di fabbricazione occidentale, molti dei quali prodotti negli ultimi due anni, trovato nei mezzi che hanno colpito i civili e le infrastrutture critiche, alza ulteriormente quest’urgenza per evitare situazioni imbarazzanti.
Conflict Armament Research ha rilevato che i droni iraniani esaminati in Ucraina a novembre avevano “capacità tecnologiche di fascia alta”, tra cui sensori di livello tattico e semiconduttori di provenienza extra-iraniana, dimostrando che Teheran “è stata in grado di aggirare gli attuali regimi sanzionatori e ha aggiunto ulteriori capacità e resilienza alle sue armi”. Secondo l’organizzazione sono coinvolti “più di 70 produttori con sede in 13 Paesi e territori diversi”.
Il responsabile delle comunicazioni strategiche del Consiglio di sicurezza nazionale, John Kirby, ha dichiarato ai giornalisti all’inizio del mese che gli Stati Uniti avrebbero sanzionato tre società russe coinvolte nell’acquisto e nell’uso dei droni iraniani e che stanno “valutando ulteriori misure che possiamo adottare in termini di controlli sulle esportazioni per limitare l’accesso dell’Iran a tecnologie sensibili”.
Secondo uno studio pubblicato a ottobre dall’Institute for Science and International Security di Washington, l’Iran potrebbe anche acquistare dalla Cina repliche quasi esatte di componenti occidentali. “La Cina svolge un ruolo più ampio di quanto precedentemente valutato nel consentire all’Iran di produrre e fornire droni alle forze russe”, si legge nel rapporto: “Sembra che le aziende cinesi stiano fornendo all’Iran copie di prodotti occidentali per produrre droni da combattimento”.
La Casa Bianca ritiene di essere riuscita a far capire agli alleati la portata del problema. L’alto funzionario dell’amministrazione che ha parlato con la CNN ha detto che “sta crescendo un ampio e profondo consenso internazionale sull’Iran, dall’UE al Canada, all’Australia e alla Nuova Zelanda, guidato dalla diplomazia statunitense”.
Il grande problema non è tanto nel convincere le aziende a fare di più per controllare le loro catene di approvvigionamento e vendita, ma sta nel fatto che molti di quei prodotti sono talmente comuni e dunque disponibili per scopi civili. Dunque diventa molto difficile effettuare controlli efficaci e totali. Anche individuare le società di facciata iraniane (o russe e cinesi) che si occupano delle acquisizioni è complicato, perché potrebbero facilmente camuffarsi e soprattutto potrebbero facilmente cambiare fornitori (vista la disponibilità).