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Irpef, ma non solo. Perché sul fisco il governo l’ha azzeccata. Parla Rossi

Intervista all’economista ed ex senatore dem. L’impianto fin qui ​visto è condivisibile​, perché​ ​s​i mutuano molti degli aspetti già presenti nella proposta avanzata dal governo precedente e al contempo non mancano elementi di novità​. Giusto sopprimere l’Irap, mentre sull’Iva si può migliorare. La Bce? Fa il suo lavoro​

In Italia, solo a parlarne, fa ancora un certo effetto. La riforma fiscale sta lentamente prendendo corpo, dando ai contribuenti la speranza di un fisco più equo e al passo con la crescita. Maurizio Leo, viceministro dell’Economia (nella foto), è l’uomo che ha in mano le redini. Tra pochi giorni sul tavolo del Consiglio dei ministri finirà il provvedimento che racchiude l’embrione di quel riassetto e che darà al Parlamento italiano 24 mesi di tempo per approvare una riforma strutturale del fisco italiano.

Questo, in linea di massima, il menù. Quattro parti, 21 articoli e due anni di tempo per cambiare tutto il fisco: con un’Irpef a tre aliquote, considerata come primo passo verso la flat tax da applicare alla principale imposta italiana, un tetto agli sconti fiscali parametrato al reddito, l’Ires che si sdoppia per riservare un’aliquota agevolata (si punta al 15%) per gli investimenti in beni strumentali innovativi e in occupazione, l’Iva riordinata per ridare razionalità alla geografia dei panieri e azzerata per i beni di prima necessità e l’Irap che si trasforma in una sovraimposta sull’Ires. Di tutto questo, ma non solo, Formiche.net ne ha parlato con Nicola Rossi, economista, già al vertice dell’Istituto Bruno Leoni.

La riforma del fisco, ammesso e non concesso che vi siano le opportune coperture, sta prendendo corpo. Le pare un buon impianto, da quello che abbiamo avuto modo di leggere. E, quanto meno, realistico?

Sulla base delle informazioni di cui si dispone, l’impianto complessivo mi sembra piuttosto condivisibile. Si mutuano molti degli aspetti già presenti nella proposta avanzata dal governo precedente ma non mancano elementi di novità. In generale, mi sembra ragionevole che si sia optato per un sistema duale con tassazione proporzionale dei redditi da capitale e progressiva degli altri redditi, in un contesto che prevede una riduzione del numero e del livello delle aliquote ed una semplificazione auspicabilmente ampia del sistema di deduzioni e detrazioni che rendono l’Irpef attuale indecifrabile. Ma la riforma non si ferma all’Irpef.

Che cos’altro la convince?

Mi sembra molto positivo che si voglia mettere fine alla esperienza non proprio positiva dell’Irap, mentre fare dell’Ires un canale di selezione fra i programmi di crescita delle imprese è cosa che desta non poche perplessità.

Allora qualche neo c’è, lo ammette…

Non mancano aspetti sui quali un supplemento di riflessione sarà utile se non proprio necessario. Si tratta in qualche caso di aspetti specifici ed in altri di elementi che andranno a definire la coerenza interna del sistema fiscale verso cui ci si muove.

Tra le varie opzioni, c’è l’azzeramento dell’Iva sui beni di prima necessità. Le pare, a voler essere un po’ maliziosi, solo uno specchietto per le allodole?

Credo sia importante capire l’estensione del riordino dell’Iva e collocare al suo interno l’Iva ad aliquota zero che, francamente, nella attuale situazione non mi sembra un’idea balzana. Sarà importante però capire se e come si vorrà intervenire anche sulle altre aliquote Iva.

Nelle settimane scorse sono uscite diverse analisi che evidenziano, non lo scopriamo oggi, come il grosso del gettito in Italia sia riconducibile al ceto medio. Mi spiega come è stato possibile in tutti questi anni non accorgersi di tale stortura? O forse ce ne si è accorti…

Francamente non credo sia una scoperta di queste settimane: è noto da tempo che il peso dell’Irpef ricade per oltre l’80% su lavoratori dipendenti e pensionati, il peso dei lavoratori autonomi essendo stato contenuto negli ultimi anni dal rilievo assunto dai regimi forfettari. Ed è altrettanto noto che poco meno del 40% dei lavoratori dipendenti non paga alcuna imposta non diversamente da quanto accade, o quasi, a poco più del 40% dei lavoratori autonomi. Per converso, poco più del 10% dei lavoratori dipendenti versa poco meno del 60% dell’Irpef versata dalla categoria e questo dato è ancora più evidente nel caso degli autonomi. Al di là dei numeri, il messaggio che emerge è che una rivisitazione significativa dell’Irpef è sempre più urgente.

L’Italia ha un alto debito e più volte il governo ha accusato la Bce di avere la mano un po’ pesante sui tassi, tagliandoci lo spazio vitale sui conti. Condivide?

L’indipendenza delle Banche centrali serve proprio a consentire alle stesse di non prestare troppo orecchio ai desideri dei governi che non necessariamente corrispondono alle necessità dei cittadini. Credo sia molto positivo essersi lasciati alle spalle un lungo periodo in cui ci siamo illusi che il vincolo di bilancio sia irrilevante o che le Banche centrali possano sempre e comunque finanziare le esigenze – a volte comprensibili, spesso irragionevoli – degli esecutivi.



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