Secondo Amighini (UPO e Dwarc), la dipendenza dalla Cina è ormai più psicologica che frutto di un reale contesto economico-commerciale. E il rischio è che l’Europa non sfrutti adeguatamente altri mercati, come quello indiano o sudest asiatico. Il viaggio di Macron e von der Leyen tra interessi francesi e unità europea
“Il presidente andrà a dire, dopo più di tre anni dal suo ultimo viaggio: ‘Sentiamo dove siete e ascoltate dove siamo’”, così un funzionario dell’Eliseo ha descritto il viaggio di Emmanuel Macron a Pechino e Guangzhou – arrivo previsto in giornata, con incontri spalmati nei prossimi due giorni. Per oltre due anni, il leader cinese Xi Jinping ha tenuto sigillato il suo Paese sotto le restrizioni della policy “Zero Covid”, e Parigi sottolinea che questo contatto (che i francesi raccontano guidare un po’ a nome dell’Europa) è un briefing di allineamento quasi necessario.
Narrazioni e interessi
Macron sarà accompagnato da quattro ministri e altrettanti alti funzionari governativi, svariate personalità politiche e accademici, 53 businessman francesi. Ma anche da Ursula von der Leyen. La presenza della presidente della Commissione europea serve da garanzia: Bruxelles vuole evitare di mostrarsi divisa quando dialoga con la Cina. Parigi è d’accordo, consapevole che ogni spazio di divisione potrebbe essere facilmente sfruttato per interesse (pratico e narrativo) da Pechino. Evitare ogni potenziale esposizione sarà la principale sfida del francese.
Anche perché il Global Times, organo di diffusione in inglese della narrazione strategica dello Zhongnanhai, mette in chiaro che l’interesse del Partito/Stato è proprio questo. “Mentre all’interno del blocco si levano voci a favore del ‘decoupling con la Cina’, il leader di un importante Paese europeo, alla guida di una schiera di dirigenti, dimostra come la Cina e l’Ue siano economicamente intrecciate e che l’approccio del disaccoppiamento non sarebbe né fattibile né vantaggioso”, scrive il media cinese.
Decoupling, de-risking, re-risking
Il riferimento del GT non è velato e va al discorso con cui von der Leyen ha recentemente parlato di de-risking, segnando la strada dei rapporti economico-commerciali quanto politici con la Cina che l’Ue pianifica nel presente e nel futuro. Un discorso che segna un momento in cui Bruxelles prova a marcare una postura più accorta rispetto a Pechino di quanto facciano alcuni dei membri dell’Unione. Sebbene la stessa von der Leyen abbia indicato che l’Ue è ancora lontana dal concetto di sganciamento dalla Cina pensato dal de-coupling americano.
Nel suo discorso, von der Leyen “ha respinto l’idea che si possa contare su Xi per svolgere un ruolo costruttivo nel conflitto ucraino e ha spinto per una riduzione del rischio delle relazioni economiche dell’Europa con la Cina”, ha osservato Noah Barkin del German Marshall Fund degli Stati Uniti. Ma “Parigi la vede diversamente. Funzionari francesi vicini a Macron hanno indicato nelle ultime settimane che Macron sta considerando di offrire a Xi un accordo sulla falsariga di questo: la Francia resisterà alle pressioni statunitensi per sganciarsi dalla Cina se Pechino investirà capitale diplomatico per portare la pace in Ucraina”. Un’ipotesi che Barkin ha costruito sulla base di informazioni ottenute direttamente e che definisce re-risking.
E Kiev?
Ma come potrebbe Pechino, che ha stretto le relazioni con Mosca con un chiaro messaggio anti-occidentale, essere interessato a frenare Vladimir Putin? E in effetti, è stato lo stesso Volodymyr Zelensky a portare allo scoperto il leader cinese — che insieme al fantomatico piano di pace (che piano di pace non è) aveva promesso quanto meno una telefonata a Kiev. L’ambasciatore cinese presso l’Unione europea ha detto che la telefonata non c’è stata perché Xi ha tante cose da fare — il leader cinese non ha mai avuto contatto diretto con Kiev dall’inizio dell’invasione russa, oltre un anno fa.
“Allargare la conversazione con Pechino al ruolo di pacificatore in Ucraina, come annunciato da Macron, dopo aver visto come le relazioni con Mosca siano state rafforzate anche sul piano della narrazione, è quanto meno utopico”, sottolinea Alessia Amighini, docente all’Università del Piemonte Orientale e tra gli accademici europei che animano il progetto “China Horizons. Dealing with a resurgent China”, Dwarc, dove otto centri di ricerca internazionali si sono uniti per analisi e valutazioni riguardo alle dinamiche di Pechino.
“Che debbano andare è evidente, anche perché da protocollo informale il fatto che siano andati il tedesco Olaf Scholz e lo spagnolo Pedro Sanchez da soli non è troppo corretto, e per evitare che l’Ue non sembri frammentata la presenza di von der Leyen è importante”, spiega Amighini a Formiche.net. “Poi sì, Macron ha i suoi interessi nazionali, ma dal punto di vista istituzionale dell’Ue come pioniere di accordi nuovi in cui il commercio è solo una parte, andare in Cina adesso può essere rischioso”.
Business as usual?
Von der Leyen prima della partenza ha parlato con Zelensky ribadendo il concetto di “pace giusta”. Un altro concetto di cui parlare lo ha espresso Gabrielius Landsbergis, ministro degli Esteri lituano: “Predicare la riduzione del rischio mentre si va avanti con il business as usual non è un’opzione. Sicuramente abbiamo imparato che la crescente dipendenza dagli stati totalitari ci indebolisce mentre scartiamo i principi che ci hanno reso forti”.
Nell’analisi che Antoine Bondaz di SciencesPo dà del viaggio c’è una bottom line interessante: alla fine, dice, la posta in gioco di questa visita di Stato francese è forse più l’immagine e il posto di Parigi nell’Indo-Pacifico — dove vanta un ruolo eccezionalista, percependosi potenza regionale a differenza degli altri Paesi europei — e nel mondo che implementare i rapporti con la Cina e coinvolgerla nella pace in Ucraina.
Quali spazi per Ue-Cina?
Nei giorni scorsi, quando il dossier cinese è stato sul tavolo del Consiglio europeo, si è tornato a parlare dell’accordo sugli investimenti, noto con l’acronimo Cai. Non ci sono spazi secondo Amighini di rivitalizzare quell’intesa bloccata dal 2021 — come misura di tit-for-tat dopo che la Repubblica popolare aveva sanzionato alcuni europarlamentari e alcune entità europee che avevano preso posizioni contro la campagna di rieducazione degli uiguri organizzata da Pechino nello Xinjiang. “La spinta al Cai fu un passo falso, perché Angela Merkel voleva provare uno scatto in avanti, ma le condizioni si sono del tutto deteriorate nel tempo. Non è desiderabile dal nostro punto di vista da nessuna prospettiva. L’accordo è pericoloso, perché i cinesi potrebbero sfilarsi in qualsiasi momento. Tecnicamente è irraggiungibile se non farlo essere un accordo di settore, con forum specifici e con esclusioni, ma a quel non servirebbe tutta l’impalcatura dell’intesa ”, spiega l’esperta del Dwarc.
Per Amighini occorre valutare che “la Cina sta diventando un blocco politico e istituzionale che mira a scambi internazionali diversi dal dollaro a un proprio ordine mondiale, a dettare le regole all’interno delle istituzioni internazionali come Onu, e a muoversi secondo un modello diverso da quello occidentale”. Alla luce di questo, vanno ricalibrati i posizionamenti europei con Pechino e nella regione indo-pacifica? “Se pensiamo alla mera questione di mercato rischiamo di essere fuori strada: è la Cina stessa che sta stringendo sulla domanda interna, chiudendo via via il proprio mercato”, risponde. “D’altra parte invece, se vogliamo restare sul piano solo economico, c’è un mercato indiano che sta crescendo rapidissimamente, c’è il sud-est asiatico che sta spingendo uno sviluppo intenso. Dunque a me pare che quello economico-commerciale rischi di essere ormai più una dipendenza psicologica nei confronti della Cina, che legata realmente ai fatti. E mentre ci mettiamo sotto quella forma di pressione rischiamo di perdere l’occasione per guardarci attorno”.