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Bene la leva fiscale, ma va rafforzato l’assegno alle famiglie. Parla Rosina

Agire sulla leva fiscale va bene, ma occorre “rafforzare l’assegno unico, portandolo ai livelli tedeschi”. Alessandro Rosina, docente di Demografia e Statistica sociale all’Università Cattolica di Milano, commenta con Formiche.net la proposta del ministero dell’Economia: “Per invertire il trend occorre agire sui giovani e sulle politiche attive. Bene la revisione del Reddito di cittadinanza”

Alleggerire, se non addirittura “azzerare” la pressione fiscale sulle famiglie (con almeno due figli) per invertire il trend demografico che attanaglia il nostro Paese. La proposta è allo studio del ministero dell’Economia guidato da Giancarlo Giorgetti e sembra farsi largo tra le priorità dell’esecutivo. D’altra parte, numeri alla mano, le nascite in Italia lo scorso anno si sono fermate sotto quota 400mila (396mila, per la precisione). Numeri che fanno pensare, anche in prospettiva, alla sostenibilità dell’intero sistema Paese. “La direzione intrapresa dal governo è giusta, ma per uscire dall’inverno demografico occorre agire anche su altri fronti”. Lo dice a Formiche.net, Alessandro Rosina, docente di Demografia e Statistica sociale all’Università Cattolica di Milano.

La detassazione delle famiglie per invertire il trend demografico è una strada praticabile?

L’iniziativa del ministero dell’Economia e del governo più in generale coglie un’esigenza reale e in qualche modo rimette in cima alle priorità le politiche per la famiglia. L’aiuto economico alle famiglie è fondamentale e genera impatti positivi. Forse, però, sarebbe più efficace rafforzare le risorse dell’assegno unico sul modello tedesco (che prevede un assegno base di 250 euro a figlio, a fronte dei 70 euro base in Italia al netto dell’Isee).

Ridurre la pressione fiscale è una forma di aiuto economico. 

Sì, ma presuppone comunque che i beneficiari siano già introdotti nel mondo del lavoro. Diversamente l’assegno unico rappresenta un aiuto a erogazione diretta che in qualche modo aiuterebbe i giovani che magari non hanno ancora una stabilizzazione nel mondo professionale ad anticipare la loro scelta nel fare figli.

Dunque il suo suggerimento è quello di agire sul fattore tempo?

È senz’altro una componente importante. Basti pensare che siamo il Paese in Europa con l’età più tardiva dell’arrivo del primo figlio. L’età della prima gravidanza è 32 anni. Occorre pertanto incentivare i giovani non solo a fare figli, ma a farli prima.

Quali sono, secondo lei, in questo senso le leve su cui agire?

Agire sui giovani è senz’altro la priorità. Fra i trentenni italiani circa il 30% appartiene alla categoria dei neet. Ossia di coloro che non lavorano e non studiano. E che non cercano impiego. Il secondo fronte sul quale intervenire è quello della conciliazione tra lavoro e famiglia. Misure che, in sostanza, evitino che uno dei due genitori debba rinunciare al lavoro per avere figli. Questo implica un intervento sostanzioso sui servizi per l’infanzia. L’Italia, anche in questo senso, è molto sotto la media europea. Nel nostro Paese solamente il 27% dei bambini (tra 0 e due anni) usufruisce degli asili nido.

Un’altra questione importante è quella dell’invecchiamento della popolazione. Nel Def si traccia una prospettiva allarmante per i conti pubblici sotto questo profilo. 

In sé l’invecchiamento della popolazione non è un problema. Altri Paesi come la Francia hanno il nostro livelli di longevità. La debolezza reale per l’Italia è il forte squilibrio tra popolazione anziana e giovani. Questo fattore è devastante in termini di impatto sul mercato del lavoro.

E qui arriviamo all’appello che sta arrivando dal mondo delle imprese. Un problema di competitività?

Non solo. Noi partiamo da un debito pubblico che, di base, è molto più alto rispetto a quello di altri Paesi. Ma sicuramente il fatto di non avere forza lavoro da immettere sul mercato è un ulteriore deficit. Il che costituisce un grosso deficit competitivo per il mondo produttivo.

Quindi è giusta la direzione assunta dal governo per una revisione del Reddito di cittadinanza?

Senz’altro. L’obiettivo deve essere quello di rafforzare le politiche attive per il lavoro, non garantire a chi potrebbe lavorare ma per scelta non lo fa un reddito passivo. Discorso diverso è la garanzia di un sussidio a chi si trova nelle condizioni di povertà totale ed è inabile al lavoro. Ma su questo non c’è stata alcuna revisione.

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