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Abuso d’ufficio e prescrizione. La svolta Nordio vista da Gatta

Traffico di influenze, separazione delle carriere dei magistrati, abuso d’ufficio. L’agenda del ministro Nordio è fitta di priorità. “L’indirizzo liberale e garantista, più volte richiamato dal ministro, non può che essere condiviso in via di principio, specie se contrapposto a un indirizzo illiberale e giustizialista, incompatibile con il nostro assetto costituzionale”, dice il docente di diritto penale all’Università di Milano

La deadline del ministro della Giustizia, Carlo Nordio è piuttosto stringente. Le linee sul ddl legate al traffico di influenze e all’abuso d’ufficio, che si inseriscono in una cornice di rivisitazioni dei reati relativi alla Pubblica Amministrazione sono attese per il mese prossimo. Non è un mistero che la svolta garantista del numero uno di via Arenula piaccia anche oltre il perimetro della maggioranza. Per capire quali saranno i risvolti del nuovo corso sugli assetti del sistema giudiziario, abbiamo chiesto un parere a Gian Luigi Gatta, docente di diritto penale all’Università degli Studi di Milano.

Professor Gatta, il governo è al lavoro su un ddl presentato dal ministro Nordio sui reati di abuso d’ufficio e traffico di influenze. Che tipo di revisione si aspetta?

Mi permetta una premessa di metodo. È davvero difficile, quando si parla di diritto e giustizia, esprimersi su riforme annunciate con un certo grado di genericità ma non ancora tradotte in articolati normativi. I giuristi sanno che una virgola può cambiare il senso di una disposizione, ragion per cui ogni valutazione non può che essere rinviata al momento in cui le proposte del Ministro saranno formulate in modo preciso e dettagliato e così presentate al dibattito pubblico. Allo stato possiamo solo discutere di programmi di interventi e valutarne l’indirizzo sotto il profilo delle scelte di politica del diritto penale. L’indirizzo liberale e garantista, più volte richiamato dal Ministro, non può che essere condiviso in via di principio, specie se contrapposto a un indirizzo illiberale e giustizialista, incompatibile con il nostro assetto costituzionale. Si tratta allora di discutere sulle scelte tecniche, tanto importanti quanto difficili da far comprendere ai cittadini.

Entriamo nel merito dei reati legati alla pubblica amministrazione. 

A proposito dei reati di abuso d’ufficio e di traffico di influenze illecite segnalo che entrambi sono stati già modificati, rispettivamente, nel 2020 e nel 2019, anche e proprio per far fronte a timori di politici e amministratori pubblici compendiati con la formula “paura della firma”. Il fatto che si torni a proporre la modifica di quei reati è il segnale di quanto sia concreto il rischio che le riforme della giustizia, nel nostro paese, siano come una tela di Penelope e andrebbero fatte con maggiore riflessione e ponderazione. Quanto al traffico di influenze illecite – che mira a reprimere le condotte illecite dei “faccendieri”, rappresentando un avamposto rispetto alle norme sulla corruzione –, condivido l’opinione di quanti ritengono che la vera esigenza, per circoscrivere l’ambito di applicazione del reato, sia quello di disciplinare il lobbying distinguendo così la mediazione lecita da quella illecita.

Senza una regolazione del lobbying, sul modello di quanto avviene in altri paesi, il traffico di influenze illecite resterà una fattispecie dai contorni imprecisi. Per quanto riguarda l’abuso d’ufficio, l’alternativa ad oggi sembrerebbe tra l’abrogazione della norma o una sua riconfigurazione. È una norma di chiusura del sistema dei delitti contro la pubblica amministrazione, da sempre caratterizzata da confini applicativi ampi, proprio per questa sua funzione residuale. Nel 2020 la fattispecie è stata molto circoscritta. Non vedo molti margini per farlo ulteriormente. Prima però di procedere in questa direzione o, addirittura, di abrogare la norma, bisogna riflettere su come prevenire e reprimere adeguatamente gli abusi dei pubblici funzionari e amministratori. Il tema sullo sfondo è quello della strumentalizzazione del potere pubblico per fini privati. Vogliamo rinunciare al diritto penale? Pensiamo però a strumenti, extrapenali, di contrasto al conflitto di interessi.

A cosa si riferisce a questo proposito?

Penso a forme di responsabilità amministrativa, contabile e disciplinare. Il rischio che vedo è che agitando lo slogan della paura della firma ci si dimentichi delle tante realtà di abuso dei poteri per conflitto di interesse che si annidano nella pubblica amministrazione. Non possiamo dare segnali di lassismo, anche perché il Paese ha assunto obblighi internazionali nella prevenzione e nel contrasto degli abusi degli amministratori pubblici.

In cima alle priorità del ministro Nordio c’è la revisione dei termini per la custodia cautelare. Cosa c’è da aspettarsi?

Non mi persuade l’idea di affidare la decisione a un organo collegiale: già oggi è previsto l’intervento del tribunale del riesame – un organo collegiale, appunto – a seguito dell’impugnazione della misura cautelare, a pochi giorni di distanza dalla sua adozione. Nel corso degli anni una serie di riforme ha circoscritto il ricorso alla custodia in carcere, da intendersi come extrema ratio; i numeri delle persone che vi sono sottoposte sono progressivamente in calo. Decisivo è l’atteggiamento di pubblici ministeri e giudici, chiamati a un’attenta valutazione dei presupposti e a concepire la custodia in carcere, appunto, come extrema ratio. È accaduto anche nel noto e tanto discusso caso Uss, d’altra parte.

Nei programmi del ministro, per la fine dell’anno si dovrà intervenire sulla separazione delle carriere dei magistrati, attraverso una riforma costituzionale. Ci riuscirà questo governo a mettere mano a questa annosa questione?

Difficile a dirsi, ad oggi. Anche in questo caso non disponiamo di una bozza di riforma sulla quale discutere. Penso che, quali che siano le soluzioni tecniche, sia necessario salvaguardare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura inquirente dal potere esecutivo. È un punto fermo nella discussione che, a mio avviso, andrebbe preliminarmente fissato.

Il tema della prescrizione è sempre stato molto divisivo e, tra riforme Bonafede e Cartabia, sotto questo profilo c’è una discontinuità evidente. Che tipo di scenario si profila per questo istituto nel nuovo corso della giustizia?

Tornare a riformare la prescrizione del reato sarebbe a mio parere un grave errore: sarebbe la quarta riforma dal 2017, dopo quelle di Orlando, Bonafede e Cartabia. Prima di mettere mano alla prescrizione e alla improcedibilità misuriamo gli effetti della riforma Cartabia. Al Ministero della Giustizia è costituito per legge, a questo fine, un apposito Comitato tecnico scientifico che ad oggi non mi risulta abbia ancora prodotto alcun report che suggerisca la via della riforma. È vero anzi il contrario: un report del Ministero sul monitoraggio periodico degli obiettivi Pnrr segnala che i tempi medi dei processi penali stanno diminuendo, anche in appello. Significa che il timore che si determini l’improcedibilità, in appello, ha fatto si, a mò di effetto nudge, che gli uffici giudiziari si siano organizzati. Basta dare un occhio ai dati dei tempi dell’appello a Napoli prima e dopo la riforma Cartabia per rendersene conto. Davvero il Governo vuole dare un messaggio di lassismo alla magistratura, reintroducendo la prescrizione in appello? E alla Commissione Europea come lo si spiega?

Pnrr e riforme. Recentemente ha partecipato a un panel organizzato da Formiche, proprio con questo tema. In quell’occasione ha ribadito che l’Italia è il Paese europeo con i tempi processuali più lunghi. Come intervenire in questo senso ottimizzando l’impatto delle risorse europee? 

Guardi, a mio avviso la prima preoccupazione del Governo dovrebbe essere quella di adottare quanto prima i decreti attuativi delle riforme del processo, civile e penale, per rispettare gli impegni del Pnrr. Mi risulta che debbano essere adottati entro giugno. La seconda preoccupazione dovrebbe poi essere quella di individuare tutte le strade possibili per investire risorse sulla giustizia coprendo i vuoti di organico nel personale amministrativo e nei magistrati. Vogliamo una giustizia dai tempi ragionevoli? Dobbiamo investire sulla giustizia. E il Pnrr è una straordinaria occasione per avviare questo un processo di modernizzazione non rinviabile.

Come giudica l’idea di sfruttare le ex caserme dismesse per realizzare delle nuove carceri? 

Abbiamo 56.000 detenuti su una popolazione di 60 milioni. La Germania, che ha una popolazione di oltre 80 milioni, ha 42.000 detenuti. Il carcere è un’istituzione vecchia, che andrebbe relegata al ruolo di extrema ratio. Una visione moderna della giustizia penale, come insegna l’esperienza di altri paesi, è quella che investe su pene diverse dal carcere, in grado di associare la natura afflittiva alle esigenze di tutela della sicurezza pubblica e di reinserimento sociale del condannato, riducendone il rischio di recidiva, nell’interesse di tutti. Una svolta è stata fatta con la riforma Cartabia, attraverso le pene sostitutive delle pene detentive non superiori a 4 anni (lavoro di pubblica utilità, detenzione domiciliare, semilibertà). Bisognerebbe ora investire milioni di euro, più che nel ristrutturare fatiscenti caserme, nel reclutamento di educatori nei probation offices, cioè gli uffici di esecuzione penale esterna. L’auspicio è che il Governo Meloni lavori in questa direzione proseguendo sulla linea del Governo Draghi, che ha raddoppiato da 1000 a 2000 unità l’organico di quegli uffici, che già oggi gestiscono più persone di quelle detenute in carcere.

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