A partire dai volumi “Profeti, Oligarchi e spie” di Franco Bernabè e Massimo Gaggi (Feltrinelli) e “Geopolitica dell’Infosfera” di Paolo Savona e Fabio Vanorio (Rubbettino), l’analisi del generale Carlo Jean sull’intelligenza artificiale e le conseguenze sulla geopolitica mondiale
Seconda parte dell’approfondimento del generale Carlo Jean (la prima si può leggere qui)
La tecnologia ha sempre modificato la geopolitica. Basti pensare alle ferrovie, che hanno modificato i rapporti fra terra e mare e che sono state all’origine, all’inizio del XX secolo, della geopolitica moderna, oppure alle nuove dimensioni aeree, dello spazio extra-atmosferico e del cyberspazio. Lo sviluppo dell’IA sta producendo nuove rivoluzioni nelle varie dimensioni della geopolitica, magistralmente illustrate da Savona-Vanorio per la geopolitica economica.
L’IA ha caratteristiche diverse non solo per lo stimolo che i suoi progressi hanno in quelli degli altri settori e per l’enorme quantità di dati, provenienti dalle più diverse fonti, che consente di utilizzare, potenziando le capacità del cervello umano, ma anche per la rapidità di cambiamento che comporta, mai verificatasi in passato. La capacità di adeguamento e di innovazione diviene un fattore essenziale di potenza e forse di sopravvivenza. Impone di superare le vecchie certezze. Richiede una flessibilità e capacità/rapidità di reazione sconosciuta in passato, incompatibili con i sistemi burocratici e gerarchici delle organizzazioni formali, verticali, di tipo gerarchico. Impone una revisione degli attuali sistemi di direzione e finanziamento della ricerca scientifico-tecnologica e della formazione dei lavoratori, eccetto per quelli addetti a compiti marginali.
L’ordine geopolitico mondiale sarà dominato anche nel medio-lungo periodo dalla competizione fra gli Usa e la Cina. La tensione – o, se vogliamo, la “nuova guerra fredda” fra le due – avrà caratteristiche profondamente diverse dalla guerra fredda fra il mondo occidentale e l’Urss. La competizione sarà economica, tecnologica e finanziaria, e solo marginalmente militare. Il controllo delle tecnologie emergenti, in particolare dell’IA e di quelle strettamente associate alla sua applicazione industriale, avrà un ruolo determinante non solo sotto il profilo economico e finanziario, ma anche sotto quello strategico e geopolitico, come evidenziato da Savona-Vanorio.
La competizione geopolitica sta trasformandosi in competizione geo-tecnologica, Determinante saranno da un lato lo sviluppo e dall’altro il controllo delle tecnologie dell’IA (e delle tecnologie strategiche ad essa collegate). Il loro controllo e l’eventuale embargo dovrebbero essere realizzati nel Trade and Technology Council di Pittsburg, che segue la stessa logica del CoCom/Stem, seguita nella guerra fredda con l’Urss. A parer mio, essa è però del tutto inadeguata non solo perché l’IA riguarda più tecnologie soft che hard, ma anche per lo sviluppo della globalizzazione e il fatto che la diffusione delle tecnologie promosso dalle Mnc è pragmaticamente inarrestabile. Gli Usa non hanno più l’egemonia tecnologica di un tempo. Non sono più in grado di “punire” con embarghi tecnologici e sanzioni finanziarie le deviazioni dalle regole pattuite. Il commercio con la Cina è troppo importante per i loro alleati. Gli Usa non possono rischiare una guerra commerciale con loro o con i loro alleati asiatici. Sono indispensabili per Washington nel suo contrasto con Pechino. Gli Usa non hanno alternative che quella di “premere sull’acceleratore” e puntare sul mantenimento della superiorità scientifica e tecnologica, anche con il ritorno ad una maggiore presenza della Stato Federale nell’intero ciclo economico, come nella guerra fredda con l’Urss.
Determinante per la competizione sarà in sostanza il sistema con cui sarà organizzato il progresso tecnologico sia negli Usa che nella Cina. Esso è molto diverso nei due Paesi. La Cina fa molto affidamento sulla centralità del ruolo dello Stato, sullo spionaggio e sul reverse engineering. Gli Usa sulla cooperazione con gli alleati e sull’attrazione esercitata dal suo sistema per importare i migliori cervelli da tutto il mondo, come era avvenuto già con il Progetto Manhattan. Pechino inoltre investe massicciamente sui sistemi di sorveglianza per la sicurezza interna (riconoscimento facciale e del linguaggio, utilizzazione dei genomi per l’individuazione della personalità e delle emozioni delle controparti, ecc.) e utilizza il modello della cd “fusione militare-civile”, in cui lo Stato non programma, controlla e finanzia solo lo sviluppo scientifico e tecnologico, ma anche le sue utilizzazioni industriali e commerciali (ad esempio, nella Via della Seta digitale).
Negli Usa, invece, lo Stato si occupa direttamente solo della scienza di base, ma meno di quella applicata, eccetto nei settori esclusivamente militari e a più alto rischio. Si è quasi del tutto ritirato (si valuta circa del 50%) da molti dei settori in cui si interessava nel corso della guerra fredda, in cui la ricerca militare, spaziale, ecc. – in connessione con l’Accademia e l’Industria – trainava anche quella commerciale. Quest’ultima è oggi lasciata nelle mani dei privati. Agisce al riguardo anche il fatto che il ciclo annuale del bilancio nelle democrazie, di massima annuale, non si presta a promuovere l’innovazione tecnologica. L’importanza geopolitica che essa ha assunto nella competizione con la Cina potrà imporre modifiche, anche per evitare allo Stato di dipendere troppo dai grandi gruppi del digitale o di fare troppo affidamento sulla flessibilità e creatività delle Start-up.
In sostanza, il margine di superiorità che gli Usa posseggono ancora sulla Cina dipende da un ripensamento del ruolo dello Stato in campo tecnologico. Analoga logica dovrà essere adottata dagli alleati degli Usa che non vogliano trasformarsi in colonie nell’“era cognitiva” in cui stiamo entrando e che coinvolgerà ogni settore, come Savona e Bernabè ci suggeriscono, anche perché gli Usa potrebbero imporre restrizioni al trasferimento di talune delle tecnologie più avanzate.