A breve la Commissione di Ursula von der Leyen presenterà una strategia comune per ridurre l’esposizione ai rischi economici esterni. Si parla di controlli su aziende, limiti all’outsourcing, sanzioni anti-dumping, screening degli investimenti e non solo. L’elefante nella stanza è la Cina, ma non tutti i Paesi Ue sono pronti al de-risking. Ecco perché la Germania resta scettica
“È tempo che l’Unione europea si comporti da attore geopolitico”. Questo il ritornello di una schiera di politici europei preoccupati che il Vecchio continente finisca schiacciato nel confronto tra le due superpotenze globali, Stati Uniti e Cina, suoi maggiori partner commerciali e in piena rotta di collisione. Alle velleità di chi spera che Bruxelles trovi la sua voce sullo scacchiere internazionale si oppongono ventisette sensibilità diverse; ma la Commissione è intenzionata a cambiare le carte in tavola.
La traccia è emersa sul palco di Davos a gennaio, e poi a marzo, quando la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha delineato la sua posizione in materia di sicurezza economica – imperniata sul de-risking dalla Cina. Il concetto è stato adottato anche a Washington al posto del più intransigente, e meno realizzabile, decoupling, era al centro della riunione del G7 di Hiroshima e del quarto summit del Consiglio commercio e tecnologia Ue-Usa. Ora, stando a Politico, von der Leyen renderà il concetto ufficiale presentando la prima dottrina di sicurezza economica dell’Ue il prossimo 20 giugno, in tempo per il summit del Consiglio del 29 e 30 giugno.
OPERAZIONE DE-RISKING
Il tema è caldissimo. In linea di massima, da quando Vladimir Putin ha ricattato l’Europa tagliando le forniture di gas, è diventato evidente anche agli europei la necessità di ridurre l’esposizione ad attori potenzialmente ostili. E la Cina, tra la sua assertività autocratica e la sua presa saldissima su una serie di catene di approvvigionamento cruciali per l’Ue, rappresenta la minaccia sistemica più grave in assoluto. Dunque Bruxelles, pur volendo mantenere i contatti diplomatici e commerciali con Pechino, vuole anche mettere in campo una strategia ben definita per limitare le eventuali ripercussioni negative.
Alcuni strumenti sono già stati decisi: per esempio, nel Critical Raw Materials Act presentato a marzo c’è una misura che scoraggia l’approvvigionamento da uno Stato che controlla la maggioranza del mercato Ue. In accordo con gli Usa, la Commissione ha anche studiato una serie di sistemi che includono il rafforzamento dei controlli sulle aziende straniere che acquisiscono realtà europee, imporre sanzioni ai concorrenti sovvenzionati (per evitare il dumping) e persino lo screening degli investimenti verso l’esterno. Le conclusioni del Ttc parlano proprio di combattere “pratiche anticompetitive e dannose” delle “economie non di mercato”: un’allusione tutt’altro che velata a Pechino.
Le fonti istituzionali di Politico hanno parlato anche i controlli sull’outsourcing, per evitare che le aziende ingolosite del profitto a breve termine possano “mettere a rischio la proprietà intellettuale europea e la sicurezza nazionale stabilendo parti fondamentali delle loro catene di approvvigionamento in Paesi come la Cina”. Si tratterebbe, in sostanza, di vietare questo tipo di esternalizzazione in caso di rischi per la sicurezza nazionale – o, sotto un altro punto di vista, allontanarsi dalle pratiche di globalizzazione che hanno definito l’ultimo trentennio.
I DUBBI EUROPEI…
Per Politico la Commissione intende proporre tutto questo nella dottrina strategica che von der Leyen presenterà il 20. Ma rimane l’ostacolo fondamentale delle differenze tra i Ventisette. Anche perché le misure di sicurezza come i controlli sulle esportazioni sono di competenza nazionale – e non tutte le capitali del blocco sono desiderose di consegnare le chiavi a Bruxelles. Da un lato ci sono le preoccupazioni degli europei più attenti alla conservazione del libero mercato, scettici riguardo a qualsiasi pratica che possa ostacolare il commercio per motivi che possono risultare arbitrari. Dall’altro c’è il fatto incontrovertibile che diversi Paesi europei sono molto esposti verso la Cina.
È difficile per gli europei adattarsi alla prospettiva di vivere in un mondo deglobalizzato. Stando all’ultimo rapporto dell’European Council on Foreign Relations, nonostante la guerra russa in Ucraina abbia svegliato i cittadini Ue, “i loro istinti cooperativi in politica estera si stanno adattando solo lentamente a questa nuova realtà”. Quindi, pur riconoscendo i pericoli della presenza economica cinese in Europa, sono riluttanti a portare avanti il processo di de-risking da Pechino. E pur abbracciando l’intesa strategica con gli Usa, sono ancora scottati dall’esperienza del mandato di Donald Trump. Uno dei motivi per cui, qualora Taiwan diventasse il fulcro di una guerra tra Washington e Pechino, i cittadini Ue preferirebbero non prendervi parte.
…E L’ESEMPIO TEDESCO
Infine, ci sono ancora diverse aziende occidentali che guardano ancora verso Est attraverso la lente delle opportunità commerciali, lasciando da parte quella delle implicazioni politiche e strategiche di fare affari con il regime di Xi Jinping. Stando all’Economist, la Germania è il campione: circa il 10% delle realtà tedesche sono direttamente o indirettamente esposte alla Cina. Un intervento recente da parte di Roland Busch, ceo di Siemens, ha incapsulato il loro pensiero: tagliare l’accesso al mercato cinese ci farà troppo male. E la visita a fine 2022 del cancelliere tedesco Olaf Scholz, circondato da un gruppo di leader industriali, a Pechino getta una cattiva luce sulla volontà tedesca di allinearsi alla Commissione sul de-risking.
In un’intervista del 21 maggio, Scholz ha spiegato la sua versione di de-risking. Si è attenuto alla linea del G7, spiegando che l’obiettivo non è soffocare la crescita economica della Cina, quanto evitare dipendenze strategiche. Ma nella sua visione, i Paesi occidentali continueranno a investire, mantenere le supply chain e vendere beni in Cina. Anche se ha detto che “altri Paesi” dovrebbero essere in grado di avanzare allo stesso modo (parole imprecise) e che “con tre o dieci fornitori, il mondo è un po’ più sicuro”.
Insomma, come evidenzia Moritz Rudolf (Research Scholar e Fellow della Yale Law School), Scholz sembra inquadrare il de-risking come un percorso per generare sviluppo economico per il Sud globale anziché l’imperativo categorico proposto da von der Leyen – e cioè proteggere l’economia europea dai desiderata di uno Stato autocratico. Non solo la pubblicazione della tanto attesa strategia tedesca sulla Cina è stata rimandata più volte, ma, come spiega l’analista, i vertici cinesi e tedeschi si incontreranno a Berlino proprio il 20 giugno per la Settima consultazione bilaterale per confrontarsi su una serie di dossier economici. Difficile pensare che la scelta della Commissione di esprimere la nuova dottrina strategica europea lo stesso giorno sia una coincidenza.