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Tanti problemi e pochi manager. Il grande flop del forum di San Pietroburgo​

Dopo aver rappresentato per un quarto di secolo una delle alternative al più celebre meeting di Davos, ora la kermesse russa non attrae più nessuno, o quasi. Anche perché Putin racconta bugie e nasconde la polvere sotto il tappeto. L’analisi di Carnegie

Un tempo, nemmeno troppo lontano, era considerata la Davos di Russia. Ma negli ultimi 18 mesi molte cose sono cambiate. La Russia ha scatenato una guerra contro l’Ucraina, isolandosi dal mondo giorno dopo giorno, incassando embarghi e sanzioni di ogni genere su industrie, banche, imprese.

E così, l’onda lunga dell’indignazione è arrivata anche a San Pietroburgo, teatro del tradizionale forum economico, conclusosi pochi giorni fa. A dispetto del minuto di silenzio chiesto dal presidente della Russia, Vladimir Putin, per commemorare Silvio Berlusconi, la tre giorni è stata un flop. Lo pensano gli esperti del Carnegie, uno dei maggiori think tank al mondo. In una analisi firmata da Alexandra Prokopenko, si racconta come “quest’anno non erano presenti né i media occidentali né gli investitori, né i manager di peso. E pensare che il forum è stato concepito oltre venticinque anni fa come vetrina dell’economia russa rivolta agli investitori stranieri”.

Anche dopo l’annessione della Crimea nel 2014, che all’Occidente rimase indigesta, il forum è rimasto un importante evento internazionale a cui hanno partecipato rappresentanti delle principali aziende globali: da Bp a Royal Dutch Shell, passando per Philips, Total, Eni, Telenor Group, Glencore e molti altri. Tutto finito, tutto passato, perché “quest’anno, persino alcuni amministratori delegati russi hanno tranquillamente saltato il forum. Le delegazioni erano piccole e il livello di rappresentanza di Paesi e aziende straniere, anche del Sud del mondo, verso cui la Russia avrebbe rivolto la sua attenzione, era minimo. I giornalisti provenienti da paesi ritenuti ostili dal Cremlino non sono stati accreditati, mentre gli ospiti occidentali hanno semplicemente ignorato gli inviti”, spiegano dal Carnegie.

E così, “dopo un quarto di secolo, il forum di San Pietroburgo si è trasformato da prestigioso centro di investimenti a piattaforma per un vecchio autocrate che in qualche modo è riuscito a convincersi che tutto sta andando secondo i piani”. A monte di queste valutazioni, ci sono le reali difficoltà dell’economia russa.

“Nei primi quattro mesi del 2023, il complesso militare-industriale russo è cresciuto di ben il 25%, con alcuni gruppi di prodotti che hanno mostrato una crescita esplosiva: i dispositivi di navigazione sono aumentati del 60% su base annua, mentre gli indumenti protettivi sono aumentati del 47%. Ma è chiaro che non appena la spesa di bilancio per il complesso militare-industriale si fermerà, anche la crescita economica si fermerà”.

Non è tutto. “Continua la yuanizzazione del commercio estero della Russia. Ad aprile, la valuta cinese è stata utilizzata per il 23% delle esportazioni e del 31% delle importazioni, un record, mentre il rublo ha rappresentato rispettivamente il 38% e il 28%. Quindi la Russia paga già le importazioni in yuan piuttosto che in rubli. E poi il tasso di disoccupazione basso di cui il governo russo è così orgoglioso indica principalmente che la Russia semplicemente non ha abbastanza lavoratori. Tra i colletti bianchi, il tradizionale deficit di personale è stato aggravato da due ondate di emigrazione: una dopo lo scoppio della guerra e un’altra dopo l’annuncio della parziale mobilitazione nel settembre 2022”.

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