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Netanyahu sulla giustizia ha un problema con la finanza

Il premier israeliano ha ceduto alle pressioni di Bloomberg, usando l’intervista per mandare un messaggio diretto soprattutto al vasto mondo della finanza internazionale: Israele è ancora un Paese su cui “scommettere”, anche perché presto normalizzerà i rapporti con Riad. Ma la riforma giudiziaria per ora non convince i mercati

I principali hedge fund di Londra stanno sollevando preoccupazioni per l’impatto che le turbolenze politiche intorno alla profonda riforma giudiziaria organizzata dal primo ministro Benjamin Netanyahu stanno avendo sul risk premium di Israele e sui rating del credito del Paese. Mentre da settimane dilagano le proteste per le strade delle principali città israeliane, Netanyahu si trova a dover gestire un altro fronte delle manifestazioni di dissenso contro il suo governo: quello finanziario.

Fronte comune tra Citibank, Morgan Stanley, Moody’s, S&P

Giovedì scorso, Citibank ha abbassato le sue previsioni per l’economia israeliana nel 2023 e nel 2024, citando il crollo degli investimenti per le preoccupazioni dell’impatto della revisione giudiziaria del governo e di altre decisioni politiche – oltre alla giustizia, infatti, contestazioni internazionali sono arrivate anche per la gestione della questione palestinese, sbilanciata sulle istanze estremiste di alcune delle formazioni politiche che compongo l’esecutivo israeliano. Citibank ha per questo contratto la sua proiezione di crescita del 2023 per Israele dal 3,3% al 3,1%, mentre la previsione del 2024 è scesa dal 3,3% al 2,8%.

La banca d’investimento statunitense Morgan Stanley ha ridotto il credito sovrano di Israele a una posizione “dislike”, citando “l’aumento dell’incertezza sulle prospettive economiche nei prossimi mesi”. Le agenzie globali di rating del credito Moody’s Investors Service e Standard & Poor’s hanno emesso avvertimenti sul fatto che le continue turbolenze politiche intorno alla revisione giudiziaria stanno ponendo rischi per la crescita economica e la stabilità sociale in Israele. Tuttavia, per ora, non hanno agito con modifiche alle valutazioni su Israele dall’ultimo passaggio legale.

“In netto contrasto con il passato, una parte significativa degli incontri che abbiamo tenuto la scorsa settimana ruotava attorno alla situazione politica, al premio di rischio di Israele e alle probabilità degli sviluppi politici e al loro potenziale impatto sui mercati”, ha spiegato Modi Shafrir, Chief Strategist di Bank Hapoalim, appena rientrato da incontri nella capitale inglese. Shafrir, nella nota settimanale che prepara per gli investitori della banca in cui lavora (che gestisce quasi 190 miliardi di asset), ha aggiunto che “anche le domande sulla nomina del prossimo governatore [della Banca di Israele] sono venute fuori in quasi tutte le riunioni, e alcuni trader hanno notato che anche l’incertezza sulla questione aumenta il premium risk di Israele”.

Le pressioni e le cessioni con Bloomberg

Un premio di rischio è un extra-rendimento rispetto al tasso di un’attività priva di rischio che viene richiesto da un investitore avverso al rischio per essere incentivato ad acquistare il titolo rischioso. Ossia, investire in Israele sta diventando meno sicuro e dunque più premiante, ma per portare investitori sale il premio da offrire. In sintesi: Netanyahu sta andando contro il muro della nuova finanza, quella che valuta questioni di carattere politico e geopolitico – con riflessi nell’etica e nella sostenibilità degli investimenti. Da settimane alcuni media, su tutti Bloomberg, stanno sottolineando debolezze e rischi del governo israeliano sotto questo punto di vista.

Tanto che Netanyahu è ricorso a un’intervista alla televisione newyorkese per annunciare una ri-progettazione di alcuni passaggi controversi della riforma. Per esempio, la Knesset il 24 luglio ha votato per rimuovere lo “standard di ragionevolezza”, un principio giuridico che ha permesso alla Corte Suprema di ribaltare le leggi sulla base di ciò che i giudici considerano “accettabile”. La decisione potrebbe essere rivista in parte? Per l’autunno, il premier ha annunciato di fermare ulteriori misure. Il fatto che Netanyahu pianifichi questo prossimo passo, e cerca di presentarlo in all’ombra dell’estate, non è nuovo: è stato abbondantemente riportato dalla stampa israeliana nelle ultime settimane.

E però, potrebbe essere legata alla scelta di Bloomberg per un annuncio pubblico è legata alla percezione del contesto. D’altronde il primo ministro israeliano è un politico con oltre due decenni di esperienza amministrativa. Sa guidare le situazioni, è dominante nella narrazione, è abituato nel fiutare il pericolo. Se infatti il disequilibrio politico interno – e perfino le mosse su questioni specifiche come quella palestinese – possono essere in qualche modo tollerate, il rischio che la sfera economica-finanziaria di Israele possa subire colpi dalle scelte di Netanyahu non è accettabile. Né in Israele, né a livello internazionale – per primo a Washington. Netanyahu lo sa, accetta di cedere alle pressioni mediatiche di Bloomberg perché può usare il suo spazio come trampolino per un percorso di rassicurazione. Ci riuscirà?

Compito complicato

Ci sono indizi che fanno pensare che le misure pianificate da Netanyahu – che sta approfittando della pausa estiva della Knesset per portare avanti il suo piano – potrebbero produrre ulteriore opposizioni. C’è una questione di sfiducia, emersa anche dalle critiche all’intervista stessa. In diversi hanno commentato l’uscita mediatica di Netanyahu come un mossa opportunistica e niente di più (vedere la spietata critica di Haaretz).

Contemporaneamente però, i parlamentari più moderati del Likud potrebbero non sentirsi a proprio agio nel sostenere Netanyahu in modo così spinto. Hanno sposato la riforma come parte del loro impegno politico, ma in diversi hanno sostenuto la necessità di applicare moderazione e ragionevolezza. Ci sono anche prove di un crescente disagio per i costi sociali della misura giudiziaria, anche tra alcuni intransigenti. Ora si innesca anche il problema legato alle pressioni dal mondo della finanza internazionale.

La questione palestinese, per ultimo

Rischia di passare in secondo piano l’annuncio forse più sensibile fatto da Netanyahu durante l’intervista, quello riguardo il processo di normalizzazione con l’Arabia Saudita – che però in parte è collegato. “Penso che stiamo per assistere a un pivot della storia”, ha detto, sottolineando che è nell’interesse di tutti farlo perché “c’è un corridoio economico di energia, trasporti e comunicazioni che attraversa naturalmente la nostra geografia dall’Asia attraverso la penisola arabica fino all’Europa”. “Se c’è una volontà politica, ci sarà un modo politico per raggiungere la normalizzazione e la pace formale tra Israele e l’Arabia Saudita. Questo ha enormi conseguenze economiche per gli investitori e se devono scommettere su di esso in questo momento, ci scommetterei, ma non posso garantirlo”, ha detto il primo ministro.

Netanyahu ha anche minimizzato sul peso della questione palestinese nei negoziati – in sostanza, l’Arabia Saudita, in quanto protettrice dei luoghi sacri dell’Islam, potrebbe non voler rovinarsi l’immagine col mondo musulmano accettando un avvicinamento a Israele senza garanzie formali per i palestinesi. “È questo che si dice nei corridoi? È questo che si dice nei negoziati discreti? La risposta è molto meno di quanto pensi”, ha detto il premier israeliano. Alla domanda su quali concessioni Israele sarebbe disposto a fare ai palestinesi, Netanyahu ha rifiutato di dare esempi specifici. “Ti dirò quello che non sono disposto a dare. Non sono disposto a dare nulla che metta in pericolo la sicurezza di Israele. Non lo farò, ma penso che ci sia abbastanza spazio per discutere le possibilità”.

E intanto, oggi – in Italia – l’ex primo ministro e leader dell’opposizione, Yair Lapid, ha incontrato il ministro degli Esteri emiratino, Abdullah bin Zayed. Sintetica la dichiarazione trapelata dalle fonti: “Abbiamo gettato le basi delle relazioni tra i nostri paesi e continueremo a cooperare per approfondire quei legami e promuovere gli interessi di entrambi i nostri paesi”. Sui media israeliani circola un commento graffiante attribuito al ministro degli Esteri israeliano, Eli Cohen: “C’è un governo che sa come portare avanti accordi di pace storici (riferimento agli Accordi di Abramo con Abu Dhabi, ndr), e c’è un ex ministro degli Esteri che sa come fare le foto. Promettiamo di portare avanti altri accordi, in modo che Lapid abbia qualcun altro con cui fare le foto”.

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