La possibile adesione italiana al programma franco-tedesco per il carro armato del futuro non è solo una questione di rapporti tra le tre nazioni, ma potrebbe rappresentare un modello virtuoso verso la deframmentazione delle forze armate europee sia in chiave di costruzione di una Difesa comune, sia per il rafforzamento delle capacità di deterrenza Nato del Vecchio continente
Tra tutti i diversi sistemi d’arma, quello che più di altri rappresenta plasticamente lo stato di frammentazione del settore difesa europeo è il carro armato da battaglia (conosciuto anche con l’acronimo Mbt – Main battle tank). Attualmente, infatti, i circa seimila carri armati in servizio con le Forze armate dei Paesi europei appartengono a diciassette modelli diversi, senza contare le diverse varianti, spesso realizzate ad hoc per un singolo Paese. Addirittura, questo stato di proliferazione dei sistemi da combattimento terrestre avviene anche all’interno di numerosi Stati, con in servizio contemporaneamente modelli diversi di carro armato più o meno moderni (una condizione che caratterizza in particolare i Paesi dell’est Europa, dove sono impiegati anche apparecchi risalenti all’era sovietica). Per fare un rapido raffronto, i circa 2.500 carri degli Stati Uniti sono tutti un unico modello, l’M1 Abrams, sulla base del quale sono poi state realizzate le diverse varianti per rispondere alle necessità operative delle Forze Usa.
È su questo sfondo che va letta la proposta avanzata dalla Francia, e riportata dal quotidiano La Tribune, di invitare l’Italia, attraverso Leonardo, a partecipare alla realizzazione del Main ground combat system (Mgcs), il progetto per il carro armato di prossima generazione lanciato nel 2012 da Parigi e Berlino sviluppato in partnership dalla tedesca Rheinmetall e da Knds, joint venture nata nel 2015 dalla tedesca Krauss-Maffei Wegmann e la francese Nexter. Da quando è stato lanciato, tuttavia, il programma ha faticato a prendere slancio, funestato da una serie di ritardi e malumori sia tra i partner industriali, sia tra i governi di Francia e Germania. Indicativo il fatto che Parigi nel suo bilancio per la Difesa del 2023 non abbia inserito il programma Mgcs (né quello per il caccia di nuova generazione Fcas, realizzato sempre insieme a Berlino). L’urgenza dei Paesi europei di dotarsi di carri armati aggiornati alle sfide contemporanee, inoltre, mette a repentaglio il futuro del programma. Invece di attendere i decenni necessari a progettare e mettere in produzione i Mgcs, le capitali del Vecchio continente potrebbero scegliere di comprare immediatamente mezzi già disponibili. È il caso della Polonia, che l’anno scorso ha deciso di acquistare 250 carri americani Abrams M1A2.
Sempre secondo il quotidiano francese, l’ingresso italiano nel progetto è presentato come un ultimatum di Parigi a Berlino sul futuro del programma: “Prendere o lasciare”. Per La Tribune, si tratterebbe di un tentativo dei francesi di riequilibrare il rapporto con i partner tedeschi, in particolare con Rheinmetall, facendo leva su citati ottimi rapporti tra Parigi e Roma – con quest’ultima descritta come “il nuovo partner preferito” della Francia – basati sui progetti comuni come il missile Aster di Mbda, la partecipazione italiana ai missili franco-britannici Fman/Fmc e soprattutto l’aggiornamento di mezza vita di quattro Fremm, due francesi e due italiane (il Doria e il Duilio).
L’Italia, dal canto suo, può però vantare buoni rapporti anche con la controparte tedesca, in particolare nel settore terrestre, come dimostra la decisione del governo di acquistare i carri armati Leopard 2A8 a partire dal 2024, da affiancare ai 125 carri Ariete modernizzati in versione C2. Come spiegato dal generale Salvatore Farina, già capo di Stato maggiore dell’Esercito, l’obiettivo è arrivare ad avere circa 256 sistemi Mbt in grado di equipaggiare quattro reggimenti carri. La scelta di procedere lungo il doppio binario Ariete/Leopard risponde alla necessità di accelerare i tempi, con i primi due reggimenti dotati di C2 modernizzati già entro il 2028, anno in cui dovrebbero essere introdotti i primi Leopard, evitando gap operativi.
Ma la partita è tutt’altro che limitata a Francia, Germania e Italia, e potrebbe anzi rappresentare un modello virtuoso verso la deframmentazione della difesa europea. Un obbiettivo fondamentale non solo per le ambizioni di costruzione di una Difesa comune da parte dei Paesi del Vecchio continente, ma anche in chiave Nato, con il potenziamento delle capacità di deterrenza europee e una contemporanea riduzione delle risorse necessarie. L’avere in dotazione equipaggiamenti il più possibile uguali o simili, infatti, non solo facilita il loro impiego sul campo (con gli operatori di Paesi diversi in grado di lavorare immediatamente su apparecchi anche di nazionalità diversa), ma rende molto più semplice anche la catena logistica, dai pezzi di ricambio, alla manutenzione, al munizionamento. La possibilità, inoltre, di produrre la piattaforma contemporaneamente in più Paesi accelererebbe anche l’entrata in servizio dei singoli modelli mettendo a sistema le linee di produzione europee, senza l’aggravio economico di dover attivare ex-novo delle linee produttive all’interno di un singolo Paese.
La convergenza sul Mgcs potrebbe anche facilitare in futuro un avvicinamento dei programmi paralleli sul caccia di sesta generazione Fcas (franco-tedesco) e Gcap (con Italia, Giappone e Regno Unito). Anche qui i ritardi accumulati dal Fcas potrebbero portare Parigi e Berlino ad aprirsi a collaborazioni più estese, anche alla luce dello slancio che invece sta caratterizzando l’evoluzione del Gcap.