Intervista all’ex ministro della Difesa: “La prossima legislatura sarà l’occasione buona per le riforme, perché rientra nel gioco democratico una forza politica che era praticamente estinta con l’uscita degli inglesi, ovvero il movimento dei conservatori. Perdere l’Africa per l’Europa significa perdere il futuro. Se in Europa ci deve essere più sussidiarietà e più solidarietà lo deciderà la visione politica, non le regole”
Più volte il presidente del Consiglio italiano ha accennato a un’Europa confederale. Da sostenitore di quel federalismo cristiano dei padri fondatori, dico che questa è l’occasione buona per incrociare le riflessioni e ottenere quel grado di visione che rimetta in gioco meccanismi come il Patto di stabilità sulla base di una visione politica. Lo dice a Formiche.net l’ex ministro della difesa Mario Mauro, esponente popolare, già vicepresidente del Parlamento europeo, che coglie l’occasione delle parole sui Trattati del Capo dello Stato per analizzare le dinamiche legate alle prossime elezioni europee, partendo da una certezza: “Credo fortemente che l’avvento sulla scena internazionale, come leader dei conservatori, della premier Meloni possa essere una sorta di clausola di salvaguardia per rimettere in gioco la macchina europea”. Il tema sarà al centro di una tre giorni di studio a Marina di Grosseto il prossimo 24 settembre alla presenza di Manfred Weber, promosso dallo stesso Mauro, da Giuseppe De Mita e da Gaetano Quagliarello.
C’è chi chiede il rinvio del Patto di stabilità: Bruxelles sarà disponibile?
Non mi sembra semplicemente una richiesta di carattere funzionale cioè legata alla contingenza: come dire che si protraggono i problemi creati dalla pandemia, in parte per effetto della guerra, in parte per effetto dell’inflazione. Quanto piuttosto, e in questo senso fa eco la riflessione del Presidente della Repubblica, il Patto di stabilità è, con altre contraddizioni, l’emblema dell’insufficienza degli attuali trattati. Questo è il cuore della questione, nel senso che l’Unione Europea rimane una grande incompiuta.
Per quali ragioni?
Perché rimane da un lato, all’interno del progetto europeo, un significativo deficit democratico dovuto alla farraginosità dei meccanismi istituzionali, ma in particolar modo al fatto che il disegno federale dei padri fondatori del federalismo cristiano, che aveva incrociato la visione di uomini che stavano dall’altra parte della barricata, come definito nel Manifesto di Ventotene, è rimasto incompiuto. Non a caso penso che la prossima legislatura sarà l’occasione buona, perché rientra nel gioco democratico una forza politica che era praticamente estinta con l’uscita degli inglesi, ovvero il movimento dei conservatori.
Ha sempre detto di essere attirato dal progetto europeo ma di volerlo cambiare…
Noi sappiamo che più volte il Presidente del Consiglio italiano ha accennato a un’Europa confederale. Io che sono sostenitore di quel federalismo cristiano dei padri fondatori, dico che questa è l’occasione buona per incrociare le riflessioni e ottenere quel grado di visione che rimetta in gioco meccanismi come il Patto di stabilità sulla base di una visione politica.
In che modo?
Se in Europa ci deve essere più sussidiarietà e più solidarietà lo deciderà la visione politica, non le regole. Per cui se vi sarà più sussidiarietà e più solidarietà, ci sarà un diverso patto di stabilità. Semplicemente quindi, è la visione politica che conta. Quella che ha determinato lo sviluppo del progetto europeo con le sue contraddizioni era legata alla fatica, che nel lungo dopoguerra, gli Stati membri facevano a cedere sovranità ma soprattutto a cedere sovranità su questioni cruciali. Non dimentichiamo che è del 1954 il primo grande fallimento europeo e ancora oggi siamo nel nulla dal punto di vista della capacità di incidere sullo scenario globale della pace e della guerra. Soprattutto l’Europa sta perdendo l’Africa e perdere l’Africa vuol dire perdere il futuro. Questo è dato dalla durezza della circostanza attuale. Quindi il Patto va cambiato, ma va fatto prendendo il toro per le corna, vale a dire incidendo sui trattati.
Il Presidente della Repubblica ha chiesto di migliorare i trattati per nuova energia in Europa: è un obiettivo raggiungibile nella prossima legislatura?
Vanno migliorati perché si affermi la circostanza presente in una nuova visione del futuro. Da questo punto di vista riprendo il dibattito nato attorno al quesito che tocca popolari e Meloni: non credo che il premier italiano voglia farvi ingresso, inoltre oggi, se c’è bisogno di un contributo specifico, torno a dirlo, è di una forza politica che, preservando il credo della nazione, si apra all’integrazione europea. E lo dico a ragion veduta, perché nella mia esperienza politica di parlamentare europeo ho fatto parte di un gruppo politico denominato ‘Popolari e democratici’ dove i democratici erano i conservatori britannici: avevamo la doppia denominazione perché riconoscevamo la diversità degli inglesi. Sapevamo cioè che gli inglesi avevano una visione che correva parallelamente alla nostra dal punto di vista del desiderio di voler affermare il progetto europeo con cui dovrà realizzarsi il domani, nell’ottica di preservare da parte nostra l’istinto federale del progetto e da parte loro la grandezza delle storie nazionali. Quel filo si è rotto, quella stagione è perduta.
Come ricominciare?
Io credo fortemente che l’avvento sulla scena internazionale, come leader dei conservatori, della premier Meloni possa essere una sorta di clausola di salvaguardia per rimettere in gioco la macchina europea. I conservatori non saranno determinati dall’immobilismo tipico di chi non vuol perdere le prerogative di sovranità nazionale. E i federalisti, sia di matrice popolare sia di matrice socialista, non confonderanno federalismo con omologazione o peggio ancora con l’Unione delle repubbliche socialiste europee. Noi avremo la nuova Europa e questo sarà un vantaggio per tutti, ma in particolare per il mondo, perché lo scenario globale recupererà un protagonista indiscusso oggi sul piano economico, domani torno a sperare sul piano politico.
Come si sta evolvendo in questo senso il rapporto di Roma con l’Europa? Questi mesi pre-elettorali saranno caratterizzati da pulsioni più ideologiche o semplicemente programmatiche?
Le campagne elettorali sono fatte apposta per chiarirsi le idee, nel senso che i gruppi politici verranno fuori con le proprie forze e saranno obbligati a scegliere, quindi i nodi verranno al pettine. Vale a dire l’orizzonte che ha definito una parte della legislatura fino all’avvento della pandemia è ancora perfettamente compatibile con la visione delle nuove leadership europee? Mi chiedo inoltre se il tema della migrazione possa continuare a rimanere nella riserva indiana delle prerogative degli Stati nazionali, come quello della sanità. Di fatto questa prospettiva è già stata smentita da un intervento che è stato coordinato, ma direi di più integrato, da parte europea. E poi ancora la politica estera. Dopo che siamo nuovamente in ginocchio di fronte alle ferite della storia, per la vicenda ucraina e per i sommovimenti africani, possiamo veramente ancora permetterci di continuare a fare ognuno per conto proprio? La storia ci insegue e ci obbliga a rispondere che il filone popolare, quello dei conservatori e quello dei socialisti in questo momento per le elezioni devono giustamente competere, ma nello stesso tempo devono avere la forza di guardare nella stessa direzione che è la direzione di quell’Europa preziosa per i suoi popoli per le sue genti e che altrimenti è destinata all’insignificanza sia politica sia storica.