Ci sono molti rumors sulla normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita. Ci sono oggettive difficoltà, che Riad enfatizza anche simbolicamente, ma la relazione con Gerusalemme è in costruzione. Ci sono in ballo grandi progetti di integrazione come il corridoio Imec, che per primi gli Stati Uniti non vogliono far naufragare per visioni poco pragmatiche
“Il ministero degli Affari Esteri esprime la condanna e la denuncia del Regno dell’Arabia Saudita per l’assalto alla moschea di Al-Aqsa da parte di un gruppo di estremisti sotto la protezione delle forze di occupazione israeliane”, così scrive su X il governo di Riad, guidato dall’erede al trono Mohammed bin Salman, che per la prima volta nella storia del regno è anche primo ministro. La posizione è dovuta e al limite simbolica, il Paese protettore dei luoghi sacri dell’Islam non può non prendere le difese palestinesi per i fatti avvenuti domenica mattina, quando le forze israeliane hanno aggredito violentemente i palestinesi vicino a uno dei cancelli della moschea (tra questi c’erano persone anziane, spinte a terra, ferite dai soldati del governo Netanyahu).
La normalizzazione e i suoi problemi
Tutto va inserito in un contesto più ampio, che riguarda la gestione dura che l’esecutivo israeliano ha deciso di tenere nei confronti dei palestinesi (quella di domenica è una vicenda che segue un trend). Aspetto per cui il primo ministro Benjamin Netanyahu è stato contestato anche al suo arrivo a New York, per l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (Unga), con i manifestanti accusati di “allinearsi con l’Iran”. Ma soprattutto tutto va inserito nel quadro ampio e altamente strategico dei negoziati per costruire un accordo di normalizzazione — mediato dagli Stati Uniti — tra Israele e Arabia Saudita.
C’è molto rumore attorno al dossier, e il fatto che Netanyahu a New York avrà una breve chiacchierata con Joe Biden a latere dell’Unga alimenta i rumors e il gossip diplomatico. L’ultima notizia dice che Riad avrebbe deciso di interrompere i colloqui per la normalizzazione dei legami con Israele. La decisione, secondo Elaph (media arabo indipendente basato a Londra), sarebbe stata comunicata agli israeliani dagli Stati Uniti, citando le preoccupazioni per il governo di destra israeliano e proprio la sua posizione “estremista” sulla questione palestinese. I funzionari statunitensi hanno negato l’interruzione delle discussioni. I funzionari israeliani hanno contestato l’idea che la questione palestinese sia un ostacolo alla pace, ma viene tirata fuori quasi a orologeria nei momenti che contano, ricordando quanto costoso e problematico sarà la normalizzazione con Israele senza una componente palestinese quanto meno affrontata.
Eppure quella normalizzazione è un dossier altamente strategico che può riordinare una regione come quella mediorientale costantemente caotica e caoticizzata, e dare impeto fondamentale a progetti cruciali come quello del corridoio Imec, infrastrutture geopolitica che apre praticamente al concetto di Indo Mediterraneo e sarebbe un propulsore per un nuovo ruolo globale dell’Europa – e dell’Italia.
Imec, Israele e Arabia Saudita
Nei giorni scorsi, il governo saudita ha sottolineato il suo ruolo nella creazione del corridoio economico che collegherà l’India, il Medio Oriente e l’Europa grazie alla sua posizione geografica strategica e all’affidabilità energetica. Il gabinetto ha discusso un memorandum d’intesa con gli Stati Uniti per creare corridoi di transito verdi intercontinentali che passino attraverso la penisola araba, facilitando il trasporto di elettricità rinnovabile, idrogeno pulito e altro. Re Salman ha guidato il meeting del gabinetto di governo riunitosi a Neom, la città-corridoio che (quando sarà ultimata nel 2025) scorrerà per 170 chilometri lungo le coste del Mar Rosso, opera che simboleggia la narrazione strategica globale del Paese. Da Neom, l’Imec è stato osannato come uno degli elementi che rende l’Arabia Saudita una potenza a capacità globale.
Per il progetto Imec il territorio Saudita è cruciale, perché fa da ponte tra l’India (via Emirati) e l’Europa, a cui si connetterà tramite un passaggio (ferroviario) sul suolo giordano e poi il porto israeliano di Haifa. La posta in gioco è molto alta, e difficilmente Riad rinuncerà a una visione pragmatica impedendo la connessione con Israele anche se non dovesse formalizzarsi una effettiva normalizzazione — d’altronde qualcosa di simile c’è già dal punto di vista dei collegamenti aerei e di informale nel dialogo tra intelligence davanti alle minacce comuni (come terrorismo e Iran, che spesso si sovrappongo) o i contatti più ufficiali all’Unesco.
“Per avere successo, i partecipanti di Imec dovranno anche garantire che il progetto si materializzi e sia abbastanza allettante da incentivare in modo significativo gli attori regionali”, spiegano Cinzia Bianco e Julien Barnes-Dacey dell’Ecfr. “Il progetto costerà decine di miliardi di dollari e affronterà enormi sfide logistiche, che richiederanno un significativo impegno occidentale”, scrivono in un’analisi approfondita sul sito del think tank paneuropeo. “Se perseguito con serio impegno, sostenuto da aspettative realistiche e legato a una visione di integrazione economica regionale inclusiva, l’Imec potrebbe svolgere un ruolo significativo nell’affermare la rilevanza geo-economica dell’Europa nella regione del Golfo”.
L’analisi dà il senso della prospettiva comune israelo-saudita: Imec vale molto più del progetto in sé, è un piano di integrazione che si muove assieme alla normalizzazione Gerusalemme-Riad e coinvolge potenze come India, Stati Uniti e Unione Europea, anche in ottica alternativa alla Belt & Road Initiative cinese. Per questo gli americani stanno lavorando a un accordo “trasformativo” (parola del segretario Antony Blinken) tra Israele e Arabia Saudita, perché dal punto di vista strategico la normalizzazione e la successiva integrazione non possono essere bloccati. D’altronde, la questione palestinese è stata parzialmente marginalizzata anche per permettere il procedere degli Accordi di Abramo, il quadro con cui Israele ha riaperto le relazioni diplomatiche con altri Paesi arabi, tra cui gli Emirati. Anche in quel caso, nell’intesa si parlava dei diritti dei palestinesi e si richiamava la soluzione a due stati come simbolo e necessità del rapporto con Israele.