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La manovra Meloni era l’unica possibile. Quadrio Curzio spiega perché

Conversazione con l’economista, docente e presidente emerito dell’Accademia dei Lincei. Il contesto internazionale non poteva ammettere giochi di prestigio, nella Nadef e nella finanziaria il governo volerà basso e questo è un bene. La Germania è in crisi e questo avrà le sue conseguenze sull’Europa

Non c’è mai stata troppa ambizione nella manovra di Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti. I mercati, che già nei giorni scorsi hanno mostrato qualche cenno di nervosismo, salvo poi tornare alla fiducia e alla calma, non lo permetterebbero. E nemmeno l’Europa. La priorità sono le famiglie e il costo del lavoro, con Bruxelles ancora impantanata nella riscrittura del Patto di stabilità c’è poco da essere creativi.

La manovra 2024 sarà costruita su una base di partenza di quasi 16 miliardi in deficit, uno spazio che prende forma dagli obiettivi di indebitamento fissati nella Nota di aggiornamento al Def che traccia anche una prima cornice delle misure che troveranno posto nella legge di Bilancio. La misura madre sarà la proroga anche nel 2024 del taglio del cuneo, forte dell’esigenza di proteggere il reddito delle famiglie e contrastare il caro-prezzi. Una strada tutto sommato giusta, spiega a Formiche.net Alberto Quadrio Curzio, economista, presidente emerito dell’Accademia dei Lincei e docente alla Cattolica.

“Emerge in modo chiaro dalla Nadef una prudenza di fondo, connessa inevitabilmente all’andamento dei tassi di interesse”, premette Quadrio Curzio. “Ormai siamo abbastanza vicini alla recessione in Europa, c’è da tenere conto di un contesto internazionale molto complicato e in questo senso il governo lo ha fatto, a partire dalla revisione delle stime per la crescita. Entrando nel merito delle misure messe nel calderone della manovra, “potremmo definire questa finanziaria molto prudente in un momento congiunturale difficile. Il taglio del cuneo fiscale, che il governo punta a rendere strutturale per il 2024 è una iniziativa in un certo senso realistica e che, con le coperture a disposizione, era l’unica possibile”.

Certo, l’altra variabile di peso si chiama Patto di stabilità. I tedeschi sono in agguato, pronti a rimettere le lancette dell’austerity indietro di dieci anni. “Premesso che l’Italia ha a disposizione tante risorse, a cominciare dal Pnrr, la sua attuazione deve procedere spedita. Dei ritardi ci sono e ora vanno colmati. In questo senso, sarebbe opportuno escludere certi investimenti dal calcolo del deficit, perché potrebbe consentire a certa spesa di fruire dello scorporo dai vincoli di bilancio”.

E il fattore tedesco? “La Germania è in difficoltà, non credo possa portare troppo avanti l’idea di un Patto di stabilità troppo ingessato anche se, essendo ormai vicini alle elezioni europee, Berlino vorrebbe fare del rigore e del virtuosismo una sorta di vessillo”. Non è finita, c’è da fare i conti anche con in Paesi frugali, del Nord.

“Siamo alle solite, il fatto che in Europa gran parte delle decisioni debbano essere prese all’unanimità crea non pochi problemi, perché tiene certe scelte strategiche e di peso, ostaggio di pochi. Per l’Europa non si delineano quindi tempi facili. Infatti la crisi economica della Germania non sarà breve mentre le scadenze troppo ravvicinate dei Pnrr porteranno a molti insuccessi a cominciare da quelli dell’Italia, che ha avuto le maggiori risorse. Andrebbe allungato al 2030 cioè al termine della prossima legislatura europea le cui elezioni del 2024 causeranno molti rinvii nelle politiche unitarie”.

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