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Così la Cina vuole rubare la scena lunare all’India

Pechino contesta i risultati dell’allunaggio al polo sud lunare per non offuscare la sua missione, Chang’e-6, con cui tra due anni dovrebbe arrivare in quell’area del satellite terrestre. La Cina vuole essere potenza spaziale di riferimento per dettare i suoi standard

Gli scienziati cinesi si stanno chiedendo se il rover lanciato dall’India a fine agosto sia effettivamente arrivato nell’area ampiamente definita come il “polo sud della Luna”. Ouyang Ziyuan, il capo scienziato della prima missione lunare della Cina, ha detto al giornale Science Times, pubblicato dell’Accademia cinese delle scienze, che il sito di atterraggio della missione indiana “non era al polo sud della Luna, non nella regione polare del polo sud della Luna”, e non era nemmeno “vicino alla regione polare antartica (lunare)”.

“I commenti di Ouyang sono semplicemente pedanti, o sta facendo una distinzione importante?”, si chiede The Byte. In entrambi i casi, potrebbe esserci un certo grado di competitività in gioco. La Cina sta anche mettendo molte risorse nell’esplorazione della regione, con la sua missione Chang’e-6, provvisoriamente prevista per il 2026, con l’obiettivo di atterrare vicino al cratere Shackleton al polo sud stesso. E finora Pechino era il Paese che era arrivato più prossimo al polo lunare.

Per la Repubblica popolare essere superati dall’India è uno smacco, sia perché è un rivale geopolitico, sia perché entrambi i Paesi hanno tra le loro strategie quelle di essere punti di riferimento globali – un’ambizione in cui tutto conta, compreso essere una potenza spaziale da record. Inoltre, Pechino sa che essere il primo può servire per dettare futuri standard operativi. Per un Paese che si pensa come agente del cambiamento dell’ordine globale si tratta di un elemento centrale.

Questo è comprensibile anche analizzando il prossimo passo nell’ambizioso programma spaziale cinese, la missione Chang’e-6, la quale mira a raccogliere campioni della parte più lontana della Luna, zona teoricamente finora inesplorata (almeno al momento in cui la missione è stata pensata). Chang’e-6 rappresenta un importante passo avanti nella ricerca spaziale cinese e potrebbe contribuire notevolmente alla comprensione delle caratteristiche geologiche uniche del Bacino Aitken del polo sud e della composizione della parte nascosta del satellite terrestre. Dunque è destinata a diventare un punto di riferimento per studi successivi, ed elemento in più nella competizione scientifica.

Secondo quanto dichiarato dalla China’s National Space Administration (Cnsa), i preparativi per Chang’e-6 stanno procedendo senza intoppi, e un satellite relè destinato a supportare la missione verrà dispiegato nella prima metà del prossimo anno. Ma non c’è solo la raccolta di campioni lunari: il progetto rappresenta anche un passaggio cruciale verso l’obiettivo cinese di inviare astronauti sulla Luna entro il decennio e stabilire una stazione di ricerca lunare internazionale (con caratteristiche cinesi).

Il successo della missione indiana rischia quindi di offuscare Chang’e-6, di minimizzarne il valore e di limitarne i successi. Anche la narrazione attorno ai risultati, e alla contestazione “pedante” degli stessi, serve dunque a creare un terreno di preparazione al nuovo allunaggio cinese.

Un aspetto interessante di Chang’e-6 è nella sua natura internazionale: porterà infatti con sé strumenti scientifici (carico utile) sviluppati in collaborazione con partner internazionali. Questi includono un dispositivo francese per la rilevazione del gas radon, un rilevatore di ioni negativi dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa), un retro-riflettore laser italiano per la calibrazione dei sistemi radar e un CubeSat pakistano.

Questa cooperazione internazionale non solo amplia la portata scientifica della missione, anche nel racconto di essa, ma riflette anche la volontà della Cina di lavorare insieme alla comunità globale nella ricerca spaziale. Va ora compreso se Pechino intende quella collaborazione come paritaria, oppure come strumento per dettare i propri standard all’interno del sistema.

La Cina è già stata la prima nazione a far atterrare un rover sulla parte lontana della Luna nel 2019 e ha completato la costruzione della sua stazione spaziale orbitale Tiangong lo scorso anno. Con l’obiettivo di inviare una missione con equipaggio sulla Luna entro il 2030, la Cina sta rapidamente guadagnando un ruolo di rilievo nella corsa alla conquista dello spazio profondo.

Inoltre, Pechino sta cercando di promuovere collaborazioni internazionali nell’ambito della sua ricerca lunare. Anche se finora solo pochi paesi, tra cui Russia, Venezuela e Sudafrica, sembrano essersi uniti al progetto di una stazione di ricerca lunare internazionale proposta dalla Cina, il successo di Chang’e-6, sia dal punto di vista scientifico che narrativo, potrebbe aprire la porta a una più ampia cooperazione nella ricerca spaziale targata Cina.

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