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Il new deal finanziario di Xi e i suoi effetti collaterali

Dalla conferenza sulla finanza e il lavoro, appena conclusa, emerge la volontà del governo di rimettere il partito al centro del villaggio. Basta con la gestione disinvolta del debito, il problema c’è e va affrontato con le vecchie maniere. Ma la nuova vigilanza rischia di far scappare i pochi investitori rimasti

Sono bastate poco più di 48 ore a far calare il sipario sulla conferenza finanziaria e del lavoro, che una volta ogni cinque anni il partito comunista cinese organizza per fare un bilancio dell’economia. Nei giorni scorsi, Formiche.net ha anticipato alcuni contenuti circa uno degli appuntamenti più importanti e attesi nel Dragone, mai così atteso come quest’anno a dire il vero, visti i conclamati problemi della Cina, alle prese da una parte con la sfiducia dei mercati, dall’altra con la sostenibilità del proprio debito sovrano e corporate.

Il messaggio arrivato dalla due giorni a cui hanno preso parte tutte le prime linee del governo, del partito e dei regolatori cinesi, unitamente al leader supremo, Xi Jinping è inequivocabile: dopo tre anni di fallimenti nel mercato immobiliare e di fughe di massa di capitali, è tempo di rimettere la chiesa al centro del villaggio. O meglio, il partito. Tradotto, in Cina sta per ritornare la massiccia presenza della politica nei gangli della finanza e dell’economia, con più controlli, più supervisione. E una nuova vigilanza.

IL NEW DEAL FINANZIARIO CINESE

Per mettere bene a fuoco la sterzata cinese e la nuova agenda, che parte dalla gestione del debito, periferico o centrale (92 mila miliardi di yuan, circa 12,6 mila miliardi di dollari) fa poca differenza, vale la pena riportare le parole dello stesso Xi Jinping, arrivate a conclusione dei lavori. Quelle cioè che mettono tra le priorità la prevenzione dei “rischi finanziari, che sono è un tema eterno per il governo della Cina, che promette di rafforzare la supervisione su tutte le attività economiche”. Xi, nel suo intervento, ammette le difficoltà economiche del Paese, alle prese con un’acuta crisi del settore immobiliare, con i conseguenti rischi per il sistema finanziario, con consumi storicamente deboli e con un sensibile calo della produzione industriale e delle esportazioni.

L’imperativo è insomma “gestire i rischi finanziari. Questo è cruciale per la prossima fase di sviluppo della Cina, che continua ad affrontare notevoli rischi finanziari ed economici, caos e corruzione nel settore finanziario e servizi finanziari di scarsa qualità che danneggiano l’economia reale”. Secondo Xi, la Cina deve “rafforzare in modo esaustivo la supervisione finanziaria, e riportare tutte le attività finanziarie sotto controllo in accordo con la legge”. Allo stesso tempo, il Paese deve anche “migliorare la qualità dei suoi servizi finanziari a sostegno di settori chiave quali la tecnologia, l’industria avanzata, l’economia verde e le piccole e medie imprese, tutti volani per la creazione di posti di lavoro”.

NUOVE REGOLE, VECCHI RISCHI

Dunque? Da dove parte il nuovo corso cinese, sponda finanza? Se quanto affermato da Xi sarà messo in pratica, il primo mattoncino e una rimessa a punto della attuale vigilanza finanziaria e bancaria. In Cina ci lavorano da mesi, ma tutto dovrebbe essere pronto tra qualche settimana: un nuovo regolatore, il più possibile accentrato che possa riunire sotto un unico cappello supervisione bancaria, assicurativa e finanziaria. E tutto sotto la regia, stavolta decisamente più invadente, del partito. Il punto di caduta dovrebbe essere il rafforzamento dell’attuale commissione di vigilanza finanziaria, che è già un organismo poco indipendente dal partito, ma che ora dovrebbe arrivare a vantare nuove prerogative.

“La Cina migliorerà il meccanismo della leadership del partito nel lavoro finanziario, con il ruolo della Commissione finanziaria centrale”, è emerso dai documenti della conferenza. “Proteggendosi anche dai rischi sistemici e metterà sotto supervisione tutti i tipi di attività finanziarie”. Problema. Se fino ad oggi l’attuale livello di ingerenza del governo, unito alle difficoltà dell’economia, hanno messo in fuga diversi miliardi di capitale, cosa succederà adesso che il grip è destinato ad aumentare?

Secondo le autorità dei cambi, le quali tengono traccia delle transazioni finanziarie internazionali effettuate mensilmente dalle banche nazionali per conto di imprese e famiglie, il deflusso netto dalla Cina a settembre ha raggiunto i 53,9 miliardi di dollari: si tratta dell’importo maggiore dal gennaio 2016, quando la Cina ha registrato un deflusso netto di 55,8 miliardi di dollari innescato, tra gli altri fattori, da un’improvvisa svalutazione dello yuan chiamata shock renminbi. “Le aziende straniere potrebbero aver accelerato il deflusso di capitali, svalutando o vendendo le loro attività”, ha dichiarato Toru Nishihama, capo economista del Dai-ichi Life Research Institute di Tokyo. “Il numero di aziende straniere nel settore manifatturiero e in altri settori industriali ha raggiunto il punto più basso da novembre 2004″. E adesso?

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