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Bivio europee. Il futuro del Pd tra Schlein e Gentiloni

Un nuovo segretario, l’ottavo dal 2007 ad oggi, potrebbe essere incoronato anche al di là di un risultato non negativo alle europee di Schlein: è la visione strategica del partito che sta preoccupando elettori e dirigenti, come l’incertezza sull’Ucraina, il piglio ultra ideologico e la mancanza di compattezza sui nomi alle prossime amministrative

Al di là di se e quando Elly Schlein dovesse passare la mano al Nazareno, c’è un aspetto su cui da tempo si inizia a ragionare riguardo a tematiche, postura e riverberi in seno agli alleati (ma non solo): che terreno troverà, eventualmente e se dovesse essere chiamato alla guida del Pd, Paolo Gentiloni. Ovvero quali rapporti dovrà recuperare, come dovrà costruirne di nuovi, in che modo potrà riequilibrare alcuni atteggiamenti soprattutto in politica estera che sono sembrati distanti dall’impostazione stessa del Pd, dal Lingotto in poi, come potrà stimolare i territori ad una nuova fase.

Ma se si pensa che l’attuale segretaria è stata votata alle elezioni primarie del Partito democratico meno di un anno fa, appare evidente come la consultazione, il cui esito ha ribaltato sondaggi e previsioni, non potrà essere semplicemente annullata per far posto al nuovo.

Tutte riflessioni che sono state avviate non solo nelle sensibilità più centriste del partito, ma anche tra chi sta comprendendo che il tempo è elemento sempre più vitale nelle scelte riguardo la leadership di un partito. Così come la Cdu tedesca, dopo una breve parentesi targata Annegret Kramp-Karrembauer, aveva compreso come quella governance non fosse giusta, sensazione avallata poi alle elezioni politiche dall’exploit di Spd e Verdi, così anche il Pd ha colto alcuni segnali e prova a disegnare una eventuale alternativa all’attuale segretaria, non necessariamente in presenza di un risultato negativo alle europee di giugno: ovvero la decisione di cambiare potrebbe essere indipendente dall’eventuale crollo sotto il 18% dei dem.

Se in primis la scelta di Schlein era stata dettata dall’esigenza di un riequilibrio a sinistra, temendo la concorrenza del M5S, oggi il quadro che si manifesta è diverso: il fronte sinistro del centrosinistra è presidiato (pacifinti compresi) e le prossime elezioni amministrative possono rappresentare l’occasione per una prima scrematura di candidati, tra schleiniani di oggi che sono anche, o in buona parte, gentiloniani di domani.

L’attuale segretaria, la settima dal 2007, sembra orientata a candidarsi alle europee, anche al fine di inseguire comunicativamente Giorgia Meloni, ma con il rischio che un risultato non lusinghiero possa essere acceleratore di una resa dei conti interna e di una ulteriore perdita di consensi esterna. La decisione di Schlein non è stata condivisa da Romano Prodi seguita dalle perplessità di alcune esponenti femminili del Pd come De Micheli, Boldrini, Moretti, contrarie alla decisione di candidarsi in tutte e cinque le circoscrizioni per le prossime elezioni, mossa che sarebbe un freno a mano per le altre donne del Partito democratico. Criticità che si somma al disagio delle anime centriste e cattoliche del partito, sia riguardo a temi per così dire valoriali, che alla politica estera: ovvero il sostegno all’Ucraina.

Perché il parallelo con Berlino è utile? Quando nel dicembre 2018 Kramp-Karrembauer venne incoronata da Angela Merkel alla guida della Cdu tedesca l’ultimo partito di massa europeo riteneva di poter vivere di rendita, ovvero che una guida diversa (e con meno personalità) potesse essere sufficiente a rispondere alle nuove sfide tramite una navigazione tranquilla. Gettò la spugna, invitata dalla base del partito, dopo poco più di un anno e non a causa del Turingiagate, per via degli errori politici sul “caso AfD” in Turingia, ma perché il passaggio del post merkelismo non fu gestito con rinnovamento: fu in quel momento che presero il sopravvento i Verdi, capaci di parlare a segmenti del Paese a cui la Cdu non si rivolgeva più.

Un po’ come fatto dal Pd, chiuso nella cosiddetta ztl, e sorpassato ai lati da FdI e M5S che invece hanno avuto dialoghi costanti con i relativi mondi di riferimento, con i conservatori che in più hanno sommato la forte relazione con il mondo produttivo e con le professioni.

Da dove dovrà ripartire Gentiloni o chi dovesse prendere il timone dei dem? Sicuramente non da un piglio ultra ideologico e distante dai problemi reale del Paese, come occupazione, inflazione, sicurezza; ma da un sano pragmatismo che non si sta scorgendo, al momento, nell’individuazione dei candidati per le elezioni comunali, regionali ed europee. L’esempio di Bari è calzante: dopo un decennio targato Antonio Decaro, al vertice tra l’altro dell’Anci, il centrosinistra potrebbe andare in ordine sparso lasciando campo largo al destracentro.



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