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Setteottobre, il mondo brucia. Il commento di Daniele Scalise

Di Daniele Scalise

Non vogliamo che domani qualcuno ci possa dire: come mai non vi siete alzati dalle vostre comode poltrone mentre il mondo bruciava? L’intervento del giornalista Daniele Scalise, tra i fondatori dell’associazione Setteottobre presieduta da Stefano Parisi

Uscire dalla rabbia impotente, dalla frustrazione diuturna e dalla protesta passiva per trasformarle non tanto in atti lodevolmente simbolici quanto efficacemente concreti: è questo è il compito che l’associazione Setteottobre, presieduta da Stefano Parisi (nella foto insieme all’avvocato Laura Guercio e al componente dell’associazione Pierluigi Battista), si è dato ed è per questo che è nata alla fine di novembre mettendo insieme uomini e donne di diverse esperienze, età, professione e provenienze politiche ma con in comune l’assillo – se non l’angoscia – di ciò che sta avvenendo non solo in Israele, ma in tutte le democrazie liberali d’Occidente sotto assedio.

Dopo sabato 7 ottobre il mondo ha subito una mutazione radicale e con essa la percezione che se ne aveva: non più e non soltanto in balia di avventure e sventure più o meno rischiose, non più esposto a minacce episodiche ma pur sempre sotto controllo, non più a dover misurarsi con conflitti sanguinosi ma in qualche modo arginabili.

No, dall’8 di ottobre lo scenario mondiale è stato sommerso da un diluvio che rischia di trascinar via tutto senza lasciare la possibilità di trovare scampo su un’arca noachide in attesa di un ramoscello di ulivo trasportato da una irenica colomba. E questo perché non ci sono più né colombe né rami né ulivi. A restare siamo solo noi con le nostre responsabilità.

Dobbiamo dar conto a noi stessi e a coloro che verranno dopo di noi, un’umanità che vaga sempre più dispersa e disperata e malata. Ci siamo noi impossibilitati a sfuggire a quest’obbligo civile, etico e morale a meno di non voler ripetere l’errore straziante e imperdonabile delle generazioni precedenti alla nostra che finsero di non vedere, di non sapere e nemmeno di immaginare ciò che tuttavia avevano sotto gli occhi, ciò che con la loro cecità, la loro sordità e la loro inanità avevano contribuito a creare e a mantenere.

Per uscire quindi da una protesta generosa ma generica abbiamo voluto mettere a denominatore comune esperienze, capacità, professioni ma anche dignità e sconforto, speranze ed energie. Non si tratta più di dividerci tra sinistra e destra, laici e religiosi, cinici e appassionati. Si tratta semmai di difendere il bene più grande che questo malandato e confuso Occidente ha conquistato negli ultimi tre secoli di civiltà, e cioè quella libertà che pare essersi trasformata in concetto arioso quanto futile, data per scontato ed eterno.

Non è più possibile accontentarsi della retorica delle grandi occasioni come quella del Giorno della Memoria o del Giorno della Liberazione. Non possiamo ritenerci paghi di visioni alate e descrizioni commoventi: c’è bisogno di agire. E questo è il compito che ci siamo dati.

Tra le prime iniziative che abbiamo preso, grazie all’avvocato Laura Guercio, eccellente penalista e docente universitaria, abbiamo presentato un atto formale di richiesta all’Ufficio del Prosecutor della Corte Penale Internazionale dell’Aja perché quell’alto tribunale indaghi sui crimini contro l’umanità e genocidio commessi da Hamas. Che gli organi giudiziari mondiali si sveglino, che dicano una parola, che non fingano di non aver saputo, di non aver visto, di non aver sentito perché, sia pur nel nostro piccolo, non glielo permetteremo.

Fare, abbiamo deciso di fare. Parlare, abbiamo deciso di parlare. Muoversi, abbiamo deciso di muoverci. Perché non vogliamo che domani qualcuno ci possa dire: come mai non vi siete alzati dalle vostre comode poltrone mentre il mondo bruciava?

Perché il mondo brucia. Lo vogliate o no, il mondo brucia.



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