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Perché la Cina non crescerà. Report Atlantic Council

​L’Assemblea del popolo si è appena conclusa, farcita dei soliti proclami su crescita e industrializzazione. Ma la verità è che manca una vera strategia attuativa e che Pechino non ha la più vaga idea di dove mettere le mani

Il Congresso nazionale del popolo cinese può illudere quanto vuole le imprese e le famiglie. Ma non i mercati. A pochi giorni dalla conclusione dell’appuntamento politico più importante dell’anno, contrassegnato da una nuova crisi del debito nelle lontane province del Dragone, l’ultimo vero partito comunista rimasto sulla faccia della Terra ha fissato l’obiettivo di crescita per il 2024: +5%, come per il 2023. Peccato che oltre ai mercati, che stanno dando prova di sfiducia verso Pechino, anche molti economisti e think tank non credano più di tanto alle promesse del governo.

L’Atlantic Council, per esempio, mette in dubbio la reale capacità della Cina di mettere in pratica i propri propositi. Spiegando come il “governo ha annunciato obiettivi economici per il prossimo anno e ha esposto il suo ambizioso obiettivo di industrializzazione. Ma la settimana di incontri in seno all’Assemblea non ha offerto alcuna visione reale su come il leader cinese Xi Jinping intende affrontare una crisi immobiliare sempre più profonda , trilioni di dollari di debito pubblico locale, prezzi in calo, disoccupazione giovanile in aumento, perdita di fiducia delle imprese e dei consumatori, e una rapida crisi economica, oltre a una società che invecchia”.

Il messaggio è chiaro. “Per un governo che è orgoglioso di annunciare montagne di progetti politici e diktat, l’assenza di dettagli su come intende affrontare queste questioni ha lasciato l’inevitabile conclusione che Pechino semplicemente non sa come procedere. A differenza di alcune sessioni (dell’Assemblea, ndr) passate, non è stata indicata la strada da percorrere, e ai giornalisti è stata negata la consueta conferenza stampa post-Congresso con il premier”, scrive l’Atlantic Council.

Un silenzio assordante che “invia ai cittadini cinesi il messaggio che sono soli in un’economia anemica. Tutto ciò che hanno ottenuto è stata una vaga promessa del premier Li Qiang al Congresso di assicurarsi che non si verifichi un ritorno alla povertà su larga scala. Questa sarà una magra consolazione per i cinesi di ogni ceto sociale che hanno assaporato la prosperità negli ultimi due decenni ma che ora stanno lottando per un benessere perduto”. Conclusione?

“Non c’è alcuna discussione oggi su come Pechino intenda effettivamente finanziare la crescita e anche la sua tanto pubblicizzata economia d’argento (la strategia per l’invecchiamento della popolazione prevista dal governo, ndr), che riorienterebbe la domanda interna verso il sostegno agli anziani, che si stima raggiungeranno il 30% della popolazione entro il 2035. Xi sembra infatti concentrato sulla promozione di un approccio antiquato nella strada verso la modernizzazione guidata dallo Stato”.

“Il problema è che ripone le sue aspettative su un governo che non è attrezzato per assumersi questo compito. La Cina non è solo gravata dal debito, ma la burocrazia è piena di inefficienza, sprechi (soprattutto quelli riguardanti progetti governativi prioritari) e corruzione. Ciò, combinato con tutti i problemi economici profondamente radicati del Paese, suggerisce che il moderno sistema industriale con la produzione avanzata come spina dorsale auspicato da Xi si sta costruendo su fondamenta fragili”.



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