Si è chiusa la sesta riunione del forum Ue-Usa su commercio e tecnologia. Bruxelles e Washington consolidano la convergenza tecnico-politica su IA, 6G, standard digitali, supply chain. I risultati anemici testimoniano la paura che una seconda presidenza Trump possa far saltare tutto. Ma l’osmosi politica generata dal Ttc ha già avuto effetto
Barra dritta e pochi scossoni, perché forse si naviga verso una tempesta. Questa la direttive che sembra aver permeato l’ultima riunione del Consiglio commercio e tecnologia (Ttc) a Leuven, alle porte di Bruxelles. Venerdì gli addetti ai lavori del forum semipermanente tra Stati Uniti e Unione europea hanno presentato una sfilza di progressi (nulla di rivoluzionario) e ribadito la vicinanza tra i due nella definizione delle nuove politiche digitali, in quello che potrebbe rivelarsi uno degli ultimi episodi di questo formato.
Tra i campi in cui Ue e Usa si sono promessi maggiore collaborazione spicca quello dell’intelligenza artificiale. In una sezione della dichiarazione congiunta, Washington e Bruxelles hanno reiterato il loro impegno per un approccio basato sul rischio – concetto che innerva l’AI Act europeo – e la volontà di sviluppare tecnologie IA “sicure, protette e affidabili”. Gli alleati hanno incoraggiato l’industria a promuovere l’applicazione del Codice di condotta internazionale, emerso dal Processo di Hiroshima del G-7 a guida giapponese, che la presidenza italiana ha messo al centro dell’agenda per il 2024. Le istituzioni promettono supervisione attraverso due uffici ad hoc, tra i quali verrà sviluppato un “dialogo”.
Cooperazione più stretta in vista anche sugli standard per il 6G, anche per evitare che li detti Pechino. Ma anche la proroga dello scambio di informazioni sulle catene di fornitura dei semiconduttori e sui sussidi governativi; la volontà di allineare gli standard per l’identità elettronica; un accordo per ampliare lo sforzo comune contro le operazioni di influenza russe e cinesi, specie nei Balcani occidentali; un impegno a finanziare congiuntamente progetti telco e di cibersicurezza nel Sud globale, anche attraverso un nuovo accordo in Tunisia; e la richiesta alle piattaforme online di proteggere chi difende i diritti umani e dare agli esterni maggiore accesso ai dati dei social media. Progressi importanti, ma non spettacolari se si considera l’ampiezza dei temi discussi al Ttc.
A rappresentare l’Ue la commissaria Ue per il digitale e la concorrenza Margrethe Vestager e il collega al commercio Valdis Dombrovskis, affiancati da quello al mercato interno Thierry Breton. Da parte statunitense il segretario di Stato Antony Blinken, la collega al Commercio Gina Raimondo e la rappresentante per il Commercio Katherine Tai. Sotto traccia, la minaccia che una nuova presidenza di Donald Trump faccia saltare un modello di cooperazione imperfetto, ma di importanza crescente. La paura di Bruxelles trapela dalle parole di un funzionario della Commissione affidate a Euractiv: l’esecutivo Ue sta mettendo a punto “un processo interno strutturato per prepararsi a tutti i possibili esiti delle elezioni presidenziali statunitensi”, ma “lo slancio continuerà, qualunque cosa accada in termini di leadership politica”.
Il Ttc era nato all’indomani della sconfitta di Trump per rinsaldare i legami transatlantici in materia di commercio e tecnologia dopo la maretta degli anni precedenti. Negli ultimi tre anni si sono susseguite sei riunioni in cui gli alleati hanno lavorato per allinearsi su una serie di settori strategici, come le sanzioni tecnologiche alla Russia, i controlli alle esportazioni sui microchip, gli sforzi per rendere più resilienti le catene del valore e il contrasto alle economie non di mercato (leggi: Cina). Ma anche sviluppo di pratiche sostenibili e azioni comuni per favorire l’adozione di tecnologie occidentali, come il sopracitato equipaggiamento telco, nei Paesi del Sud globale.
Non sempre il Ttc si è rivelato un formato di successo, a partire dal rifiuto statunitense di dialogare con gli europei riguardo all’Inflation Reduction Act – il maxi-pacchetto green dell’amministrazione di Joe Biden, pensato per potenziare i settori greentech Usa, con sussidi e requisiti geografici dal sapore protezionista. Quello rimane l’irrisolto più grande, anche a seguito del mancato accordo su acciaio e alluminio che sarebbe valso come predecessore di una soluzione condivisa. La pressione durante la sesta riunione, quella di venerdì, era alta, specie dopo il fallimento di fatto dell’ultima riunione – quella di gennaio 2024, slittata da dicembre 2023.
Va detto che i dialoghi si basano sulla relazione commerciale più grande al mondo: l’economia transatlantica vale circa 8,7 mila miliardi di dollari in flussi commerciali. Mercoledì BusinessEurope, il maggior gruppo di interesse per le aziende europee, ha esortato i politici a “raddoppiare gli sforzi per rafforzare i legami”, sottolineando che gli investimenti tra le due sponde dell’Atlantico hanno superato i 5.000 miliardi di dollari, mentre gli scambi di beni e servizi viaggiano oltre i 1.200 miliardi di dollari. Su queste fondamenta, il principio del Ttc è sempre stato quello di trasformare una convergenza materiale in un allineamento politico-strategico.
Ora la sfida del Ttc, per come la mette l’Atlantic Council, è giustificare la propria esistenza e “convincere chi sarà al potere l’anno prossimo [che si tratti di un] esperimento che vale la pena continuare”. Ma non necessariamente un colpo d’accetta di Trump 2.0 andrebbe a sfaldare quello che i funzionari da ambo le parti dell’Atlantico hanno faticosamente costruito in tre anni di dialoghi serrati. Come sottolinea Mark Scott di Politico, uno dei più attenti osservatori del Ttc, i segnali dell’osmosi politica che si è venuta a creare sono tangibili – da Bruxelles che ora vede i rapporti con la Cina attraverso le lenti della sicurezza nazionale ed economica, alla volontà statunitense di regolamentare “all’europea” il funzionamento della sfera digitale. “Se questa è l’eredità del Ttc, ben venga”, conclude l’esperto.