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Israele potrebbe aver ucciso uno dei grandi capi di Hamas. Ma a che costo?

Mohammed Deif, capo dell’ala militare di Hamas, potrebbe essere stato ucciso da un raid israeliano. Denunce per vittime civili dopo un attacco aereo nella stessa area. Israele accetta i rischi di un potenziale danno collaterale

Un funzionario israeliano ha confermato all’Associated Press che Mohammed Deif, il capo dell’ala militare di Hamas, è stato l’obiettivo dell’attacco israeliano di questa mattina a Khan Younis, città nella porzione meridionale della Striscia di Gaza. Il funzionario, parlando a condizione di anonimato in attesa di un annuncio formale, ha detto che anche Rafa Salama, un altro alto papavero dell’organizzazione, era tra i target.

Deif è da nove mesi tra i grandi obiettivi israeliani, perché si ritiene sia tra le mastermind dell’attentato del 7 ottobre, insieme a Yahya Sinwar (capo di Hamas rimasto nella Striscia, dopo che negli anni che diversi dei leader dell’organizzazione sono fuggiti e operano, più al sicuro, da fuori il territorio palestinese). I rumors dal posto, secondo le fonti consultate da Formiche.net, parlano del fatto che Deif sia stato effettivamente colpito, forse ferito in modo molto grave, se non ucciso. Ma niente è confermabile finché non ci saranno annunci ufficiali o da Hamas o dal governo israeliano, visto che la sicurezza di Deif e delle figure come lui è iper-paranoica.

Se dovesse essere stato ucciso, sarebbe un duro colpo per l’organizzazione, ma anche un passaggio potenzialmente importante per i negoziati sul cessate il fuoco. Anche se non è chiaro con quale esito: se da un lato l’eliminazione potrebbe portare Hamas a vendicarsi e non accettare tregue, dall’altro Deif e Sinwar sono le figure più agguerrite e questo potrebbe aprire a dinamiche con i dialoganti delle componenti politiche.

C’è su questo un altro elemento da valutare: prima che iniziassero a circolare le informazioni su Deif, il ministero della Salute di Gaza aveva denunciato che 71 persone (e 289 ferite) erano state uccise in un attacco israeliano proprio nell’area di Muwasi, vicino Khan Younis, teoricamente dichiarata libera dalle operazioni in quanto zona umanitaria riconosciuta anche dagli israeliani. Secondo le fonti consultate, si tratta dello stesso raid: tuttavia non è ancora ufficialmente definito se Israele per colpire il leader abbia accettato la possibilità di produrre un importante danno collaterale contro i civili e violare accordi umanitari.

Non sarebbe la prima volta,  e nonostante l’importanza alle target e la prammatica del conflitto possono essere usati come giustificativi, quanto accaduto potrebbe avere un peso sulla reazione di Hamas — e quindi sulle dinamiche attorno ai negoziati per il cessate il fuoco. Per Benjamin Netanyahu è fondamentale portare avanti la narrazione con cui ha iniziato la guerra — dopo l’attacco subito il 7 ottobre. Il governo vuole portare l’obliterazione di Hamas in dote al suo complesso elettorato, e dimostrare agli israeliani tutti che procedere con la guerra non è solo un atto dovuto e simbolico dopo la mostruosa aggressione, ma anche giusto per raggiungere risultati concreti.

Il primo ministro sta subendo una serie di pressioni per allentare la morsa delle operazioni e passare ad azioni più mirate contro la leadership terroristiche palestinese. In primis sono gli americani a chiederlo, e lo rifaranno quando tra pochi giorni Netanyahu sarà in visita a Washington (se le vittime civili dovessero essere confermate, questa contro Deif non ricadrebbe comunque nello stile delle missioni suggerite dall’amministrazione Biden). Per altro, in quell’occasione le famiglie degli ostaggi statunitensi tenuti a Gaza hanno chiesto di incontralo insieme ai membri del Congresso che rappresentano i loro distretti. Negoziare la tregua dovrebbe servire anche a facilitare il rilascio di quegli ostaggi; l’attacco contro Deif, con scarso discernimento dell’obiettivo se confermati i morti collaterali e il luogo, potrebbe sembrare all’opposto un modo per far saltare il tavolo negoziale.

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