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Obiettivo Luna 2030. Così Pechino accelera sullo sviluppo del suo programma spaziale

La Cina ha completato con successo un test di sicurezza sul nuovo veicolo spaziale Mengzhou, destinato a portare gli astronauti cinesi sulla Luna entro il 2030. Il test, simile a quelli già condotti dagli Stati Uniti, segna un’accelerazione nel programma spaziale di Pechino. Dietro i progressi tecnici si intravede una strategia ampia, che intreccia ambizioni scientifiche, geopolitiche e militari in un contesto spaziale sempre più conteso. La corsa allo Spazio si fa sempre più affollata

La Cina ha compiuto un altro passo nel suo programma spaziale. Alle 12:30 del 17 giugno, ora di Pechino, dal centro di Jiuquan è stato eseguito con successo un test di “pad abort” del nuovo veicolo spaziale con equipaggio Mengzhou. Il test ha riguardato la  simulazione di un’avaria in fase di lancio e aveva l’obiettivo di verificare il corretto funzionamento delle procedure di sicurezza per gli occupanti in caso di emergenza. Tutto è andato come previsto. Il modulo ha preso quota, si è separato dal razzo, ha aperto i paracadute, ha attivato gli airbag e ha concluso l’operazione con un atterraggio morbido.

Con questo test, la Cina si avvicina concretamente al grande obiettivo, dichiarato a più riprese da Pechino, di portare i primi astronauti cinesi sulla Luna entro il 2030. E, parallelamente, rafforza la postura del Dragone in uno scenario – quello dell’esplorazione spaziale – che è sempre più anche teatro di competizione geopolitica, economica e strategica. 

Il Dragone punta alla Luna

Il veicolo Mengzhou (traducibile in “nave dei sogni”) rappresenta il cuore della nuova architettura cinese per le missioni spaziali con equipaggio. A differenza del predecessore Shenzhou, il Mengzhou è progettato per essere modulare e comprende sia una versione ad alta capacità per operare nell’orbita terrestre (fino a sette astronauti), sia una versione da 26 tonnellate pensata per trasportare fino a tre astronauti verso l’orbita selenica. Il veicolo sarà lanciato dal nuovo razzo Long March 10, attualmente in fase di sviluppo, insieme al lander lunare Lanyue (“salto verso la Luna”).

Il test condotto a Jiuquan riprende quanto fecero gli Stati Uniti per il programma Apollo e, più recentemente, SpaceX con Crew Dragon. Ma per la Cina si tratta del primo test di questo tipo dopo quello del 1998 per lo Shenzhou. A differenza della vecchia configurazione, che usava una torre di salvataggio espulsa poco dopo il decollo, il sistema attuale integra la capacità di fuga all’interno del veicolo stesso – una scelta già adottata da aziende statunitensi come Boeing e SpaceX. 

Dall’altra parte dell’oceano, gli Stati Uniti osservano con crescente attenzione (e preoccupazione). Il programma Artemis – teoricamente più avanzato – è oggi rallentato da una serie di ritardi, revisioni e nodi industriali. La missione Artemis III, destinata a riportare l’uomo sulla Luna, è slittata al 2026, con la possibilità concreta di ulteriori rinvii. SpaceX e Blue Origin procedono a fasi alterne, mentre l’alleanza Nasa-Esa, per quanto solida, appare in questa fase penalizzata dalla burocrazia e dai vincoli politici.

Intanto, Pechino procede con sempre maggiore rapidità nello sviluppo delle sue capacità spaziali. Il prossimo passo? Un test di fuga in volo (più rischioso), previsto per fine 2025. Poi il primo volo orbitale completo del Mengzhou e, nel 2027-28, la simulazione di un’intera missione lunare. 

Un fronte (anche) militare

Dietro l’innovazione tecnica si cela, come spesso accade nel programma spaziale cinese, una duplice visione scientifica e militare. Le missioni civili e quelle militari, nel caso di Pechino, sono infatti gestite dalla stessa agenzia: la China Manned Space Agency (Cmsa), formalmente sottoposta al Pla, l’Esercito Popolare di Liberazione. Il successo del pad abort test dimostra non solo la maturità tecnologica, ma anche i passi in avanti compiuti da Pechino sul fronte delle capacità di proiezione (termine familiare, non a caso, anche nel lessico militare).

Man mano che l’avanzamento tecnologico rende sempre più possibile immaginare missioni (anche prolungate) con equipaggio nello spazio extra-atmosferico, i dispositivi militari delle grandi potenze (con la US Space Force in testa) si stanno rapidamente preparando al momento in cui — tecnologia permettendo — lo spazio diventerà un dominio del conflitto completo. Questo implica un sempre maggiore focus su due componenti: manovrabilità e letalità. L’una serve a garantire un impiego più flessibile degli assetti spaziali (come gli spazioplani), mentre l’altra punta allo sviluppo di capacità offensive nei confronti degli assetti spaziali avversari. In questo contesto, non si può (e non si dovrebbe) escludere che i veicoli progettati per il trasporto di astronauti non possano, in futuro, essere adibiti anche al trasporto di personale militare.


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