L’Italia è tornata centrale nel rapporto con l’Ue. Il governo si è laureato a pieni voti nel contesto europeo, anzi, il ruolo di Meloni è stato non di rado visto come quello che poteva “rafforzare una sorta di clausola di salvaguardia del rapporto” con i protagonisti dello scenario politico come la nuova amministrazione americana. Conversazione con l’ex ministro della Difesa ed esponente popolare vicino a Weber, Mario Mauro
La questione dirimente, dice a Formiche.net Mario Mauro, già ministro della Difesa, vicepresidente del Parlamento europeo ed esponente popolare molto vicino a Manfred Weber, è proprio che il Governo Meloni, e in particolare la Presidente del Consiglio, “sono nel mezzo delle questioni e con realismo si sforzano di proporre delle soluzioni”. L’Italia è tornata centrale nel rapporto con l’Ue. Il governo, sostiene, si è laureato a pieni voti nel contesto europeo, anzi, il ruolo della Meloni è stato non di rado visto come quello che poteva “rafforzare una sorta di clausola di salvaguardia del rapporto” con i protagonisti dello scenario politico come la nuova amministrazione americana.
All’inizio del governo Meloni circolavano sui media timori sull’uscita dell’Italia dall’euro, sull’arrivo della troika, sull’immigrazione che sarebbe rimasto un problema solo italiano. In questi mille giorni cosa è cambiato nel rapporto tra Roma e Bruxelles?
La vera differenza sta nel fatto che di governo Meloni ce n’è stato uno, mentre di Commissione von der Leyen ce ne sono state due: ciò ci permette di cogliere realmente la differenza e capire la consistenza e la prospettiva politica di questo rapporto. Nella precedente Commissione, von der Leyen ha dovuto fare i conti con una maggioranza che era sostanzialmente sovrapponibile sia nel contesto del Parlamento che nel contesto del Consiglio: è quella maggioranza che è andata sotto il nome di maggioranza Ursula, cioè un governo delle cose europee supportato da partiti che facevano della integrazione europea un paradigma e che avevano avuto come linea interpretativa della legislatura una strategia industriale ed ambientale. Si è introdotto un principio del tutto differente, che il principio della doppia maggioranza. Nel Consiglio è apparso chiaro fin dal dibattito per la nomina del vicepresidente della Commissione italiana Raffaele Fitto.
Ovvero?
Fin da subito le istituzioni europee hanno necessitato di una nuova maggioranza che è quella aperta al contributo dei conservatori europei che ha come caratteristica un principio più volte rappresentato in interventi mirati dalla Presidente del Consiglio italiano. Mi riferisco all’idea di un approccio teso a cambiare l’Europa e le sue istituzioni: si è introdotto un nuovo elemento e cioè un dialogo aperto col partito di maggioranza relativa, cioè con i popolari. E questo ha portato nel contesto del Parlamento a quello che i socialisti non hanno esitato a definire un ribaltamento della maggioranza. I popolari hanno cominciato a gestire dei dossier anche molto delicati e non più nel segno della collaborazione con le sinistre europee, ma aprendosi al contributo di Ecr: un elemento nuovo che è stato fotografato in negativo dai membri della maggioranza Ursula. Ma questo elemento ha anche caratterizzato in modo contraddittorio la presentazione della mozione di censura nei confronti della von der Leyen. Attenzione non da parte delle destre estreme, ma di una parte più o meno consistente dei conservatori. E questo evidentemente ha rallentato tale processo di osmosi tra Ecr e Popolari e rappresenta il punto interrogativo dello sviluppo della legislatura.
Entrando nel merito dei temi più caldi, come il premier ha influenzato il dibattito in Ue?
Qui ha preso la forma la mediazione della Meloni nelle vicende tra Europa e Stati Uniti, come la questione Ucraina da parte del Governo italiano che ha preso le forme della collaborazione stringente fino a farlo diventare elemento innovativo sulle questioni dell’immigrazione illegale. La decisione di una parte di Ecr di attaccare von der Leyen e di una parte di Ecr di schierarsi comunque a sua difesa ci fa capire come l’ambizione della Meloni da un lato e della delegazione di Fratelli d’Italia in Parlamento europeo dall’altro sia un elemento che getta lo scompiglio a destra e a sinistra e che, dal mio punto di vista, può rappresentare un’oggettiva speranza per un’Europa che vuole cambiare. Al contempo credo voglia proporsi su scala internazionale come un soggetto protagonista. Avanzo questa lettura perché da un lato a sinistra ma anche a destra tendono a demonizzare questi mille giorni di Governo Meloni, quasi che avessero rappresentato una smentita delle ambizioni della Meloni. Invece la questione dirimente è proprio che il Governo Meloni e poi in particolare la Presidente del Consiglio sono nel mezzo delle questioni e con realismo si sforzano di proporre delle soluzioni che devono fare i conti con una situazione inedita, quella situazione cioè in cui c’è una crisi, o comunque l’obbligo di una rivisitazione del rapporto transatlantico.
Un momento complesso delle dinamiche europee ed internazionali…
Fortissime sono le pressioni sul contesto europeo che vengono da attori internazionali come la Russia ma non solo, e che inevitabilmente costringono l’Europa a ripensare se stessa. Quindi direi che il Governo italiano si è trovato, proprio per fatto storico più degli altri, a dover sperimentare per primo strade nuove. Adesso forse questa stessa percezione la sta avendo il governo tedesco. Ma sicuramente se partiamo come data di riferimento da quando ci sono state le elezioni italiane che hanno portato al Governo Meloni, possiamo dire che l’Italia che ha dovuto sperimentare delle tendenze nuove, in parte assecondate, per esempio penso alla disponibilità appunto di Weber e dei popolari nei confronti del tentativo fatto da Meloni di rendere l’Europa più consapevole, dei temi legati ai flussi migratori, piuttosto che riconsiderare nello specifico i sogni della piccola e media impresa europea e del suo mondo agricolo o da ultimo la consapevolezza mostrata dalla stessa von der Leyen che ha reagito in modo positivo quando Meloni ha proposto di ridefinire il progetto di riarmo.
Non si è trattato solo di una mutazione cosmetica?
No, ma di leggere più in profondità l’esigenza di difesa della realtà continentale, visto che all’interno del concetto di difesa, Meloni ha ricompreso una maggiore integrazione dei Paesi europei, le infrastrutturazioni, la risposta alla guerra ibrida. Quando banalmente ho visto la stampa italiana tradurre questo ragionamento con la domanda se con i soldi di Ue e Nato si vorrebbe fare il ponte sullo Stretto, ho pensato che noi non ci rendiamo conto di quanto bisogno ci sia, perché l’Europa si possa difendere, di una maggiore integrazione delle nostre infrastrutture. Se lo scartamento tra i binari dei 27 Paesi membri dell’Unione europea è differente, come si fa a pensare di trasportare celermente truppe e approvvigionamenti e di avere ponti e Cavalcavia in grado di reggere trasporti di natura militare? Quindi quando parliamo di difesa occorre una cultura della difesa che è una questione molto seria. E al governo italiano va dato merito di aver posto nella considerazione della Commissione esattamente questi temi.
Non solo Roma-Bruxelles, anche con Berlino c’è un certo feeling sia su temi come l’immigrazione che sul futuro stesso dell’Ue: il dialogo Meloni e Merz quali frutti può portare?
Sono prudente su questi temi, perché faccio parte di quelli che in passato sono stati delusi dal comportamento europeo. Noi non dobbiamo mai dimenticare che ieri le richieste di supporto di numerosi Governi italiani sono sostanzialmente rimaste lettera morta e anche le missioni di natura europea che sono state prodotte e che si sono succedute nel bel mezzo del Mediterraneo hanno mostrato il fiato corto, al di là di un ipotetico rafforzamento di Frontex, si è andati. Il ritornello riproposto ad italiani e greci, cioè che le isole dell’Egeo piuttosto che Lampedusa fossero confini dell’Europa e non semplicemente di paesi membri, non hanno mai avuto una declinazione operativa. Adesso abbiamo dei modelli a cui fare riferimento, come quello con l’Albania, su cui altre leadership convergono: è un fatto importante. Mancano però all’appello ancora le questioni dirimenti cioè una ridefinizione nel dettaglio degli accordi Dublino. E poi soprattutto un meccanismo che arrivi a definire una sorta di Schengen degli approdi, per cui non rimanga il cerino in mano ai Paesi che per ragioni di contiguità con i flussi migratori rischiano di tramutarsi nel contenitore principale dei flussi. Su questo io credo che nei mesi prossimi l’operatività di questa Commissione europea possa fare tantissimo.
Quale il ruolo del governo italiano in questo senso?
Non ho dubbi che possa essere molto significativo grazie al lavoro predisposto dal ministro dell’Interno Piantedosi, protagonista di numerosissime missioni all’estero con i Paesi partner proprio per arrivare a identificare una rete che si proponga di reggere la dimensione europea del problema.
Per cui quale è il bilancio che si può fare di questi tre anni nei rapporti fra Roma e Bruxelles?
Il Governo Meloni non è il primo Governo di centrodestra in Italia e grossomodo la composizione dei governi di centrodestra che l’hanno preceduto avevano, come è noto, semmai maggiore prevalenza del partito che apparteneva alla famiglia popolare. Poi c’è stata l’esperienza del Pdl che teneva poco gli elementi che oggi sono nuovamente frazionati secondo un’ipotesi di differenziazione del consenso nell’alveo dei partiti di centrodestra italiani. Il fatto che quella coalizione potesse mantenere intonso il tratto di apertura profonda alle ragioni del progetto europeo anche con una leadership più marcatamente ancorata al profilo della nostra destra democratica, penso che sia un esame che mi sembra passato a pieni voti. Il governo si è laureato a pieni voti nel contesto europeo, anzi, il ruolo della Meloni è stato non di rado visto come quello che poteva rafforzare una sorta di clausola di salvaguardia del rapporto con i protagonisti dello scenario politico penso al rapporto con gli Stati Uniti.