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In Francia l’unica via è un governo con centro e sinistra riformista. Parla Ceccanti

La crisi politica francese giunge al culmine: entro il fine settimana probabilmente avremo un nuovo premier a capo di un esecutivo composto da forze centriste assieme alle formazioni di sinistra riformista che si sono via via affrancati dagli estremismi di Mélenchon. L’inquilino dell’Eliseo ha un problema di maggioranza interna ma è ancora forte sul piano internazionale, ma la Francia riacquisirà stabilità soltanto dopo il 2027. Colloquio con il costituzionalista Stefano Ceccanti

La grandeur può attendere. La Francia attraversa una fase di profonda instabilità politica. Dopo il logoramento delle ipotesi di governo centrista, prima con Michel Barnier e poi con François Bayrou, l’unica compagine possibile è la possibilità di una maggioranza che tenga insieme il centro e la sinistra riformista. Marginalizzando, in questo modo, il RN a destra e la France insoumise dall’altro. In questo quadro, il costituzionalista Stefano Ceccanti analizza su Formiche.net le prospettive della legislatura, il ruolo del presidente Emmanuel Macron e i riflessi che la crisi d’Oltralpe potrebbe avere sull’Unione europea, alla vigilia di una plenaria europea cruciale.

Professor Ceccanti, la Francia vive una fase di forte instabilità politica con l’ennesima alchimia politica da trovare per formare un nuovo esecutivo. Come ci siamo arrivati?

Si sono logorate due soluzioni che in un primo momento sembravano percorribili. La prima era quella di un governo basato su un accordo con i repubblicani: una strada che, però, è sfumata presto. Dopo le elezioni del 2024 era emersa la figura di Michel Barnier come primo ministro, ma quell’ipotesi non ha retto. La seconda esperienza è stata quella di François Bayrou, espressione di un centro molto centrato su se stesso, che tuttavia non è riuscito a consolidarsi.

E adesso? Quale prospettiva resta aperta?

L’unica strada ancora da sperimentare è quella di un governo che tenga insieme il centro e la sinistra riformista, quindi socialisti e verdi. Non è detto che possa garantire la durata della legislatura, ma potrebbe consentire di testare una stabilità nuova. Il vantaggio del sistema francese, in questo senso, è che non è previsto un voto di fiducia iniziale: una volta nominato, il governo entra in carica senza dover passare da quel momento dirimente che è il voto parlamentare di investitura. Questo offre un margine di manovra, almeno nell’avvio.

Perché Bayrou non è riuscito a consolidarsi?

Ha avuto una combinazione sfavorevole di fattori. È entrato in campo nell’“anno bianco”, ossia i primi dodici mesi di vita dell’Assemblea, durante i quali non può esserci scioglimento anticipato. Un vincolo che, in un contesto così fragile, l’ha zavorrato. A questo si è aggiunta una questione inattesa: la salute dei conti pubblici, che si è rivelata più problematica del previsto.

Le opposizioni, invece, come si stanno muovendo?

Il Rassemblement National vuole tornare al voto: il suo obiettivo è dimostrare che senza una loro vittoria il sistema non funziona. Lo stesso vale per Jean-Luc Mélenchon, anche se qui la novità interessante è che socialisti e verdi hanno iniziato ad autonomizzarsi dall’estrema sinistra, prendendo le distanze da una linea troppo radicale.

Si parla tanto di sistemi elettorali. Pensa che questa situazione possa essere determinata anche da storture a livello sistemico?

Un passaggio al sistema proporzionale terrebbe bloccata al centro la maggioranza esattamente così com’è ora, con il taglio delle due ali estreme e con governi sempre molto articolati da destra a sinistra. Poi ci sarebbe un altro pericolo: cosa potrebbe succedere se le due opposizioni estreme sommate – Melenchon e il RN – prendessero, sommati, la maggioranza assoluta dei seggi? Sarebbe una soluzione senza via d’uscita. Ora, più in generale però questa situazione rivela che non è così semplice in contesti frammentati far funzionare i collegi uninominali in modo tale che il correttivo maggioritario dia una maggioranza. Se un sistema deve esprimere una maggioranza, prendono più quota i sistemi basati sul premio di maggioranza, come si usa per le elezioni comunali e regionali. Infatti i sistemi a premio possono, se lo si desidera, garantire una maggioranza.

Il rischio però è che con questo sistema le forze estremiste da sole però possano prendere la maggioranza.

Questo è un problema serio. Però se l’alternativa è bloccare al centro un sistema con governi eterogenei, può anche darsi che le forze estremiste crescano lo stesso e che divengano maggioritarie pur con un sistema proporzionale. Insomma, il proporzionale non è la panacea.

Questa instabilità francese quali riflessi ha sull’Europa?

Molto complessi. L’asse europeo poggia tradizionalmente sul binomio franco-tedesco, ma la debolezza di Parigi indebolisce l’intera architettura. La forza del presidente francese dipende dalla solidità di una maggioranza parlamentare, e quando questa manca anche la proiezione europea si riduce. Tuttavia, rilanciare l’iniziativa europea potrebbe essere un viatico per un nuovo governo: una scommessa interna ed esterna al tempo stesso.

E Macron? Qual è oggi il suo ruolo?

Sulle questioni di politica estera Macron resta forte. Il fatto di non essere rieleggibile è un limite, ma può trasformarsi in un’opportunità: gli consente di pensare al lascito politico, a come farsi ricordare. Sul piano interno, invece, il problema resta la fragilità della maggioranza.

In prospettiva, dove porta questa crisi?

Potremmo vedere una nuova stabilità soltanto dopo il 2027, all’indomani delle presidenziali che segneranno la fine della stagione Macron. La Francia è in un passaggio delicato, e proprio per questo la partita europea diventa decisiva: tanto più il sistema francese vacilla, tanto più è importante che Parigi sappia investire sulla dimensione comunitaria.


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