Incontrando il presidente turco alla Casa Bianca, Trump non chiude agli F35 per la Turchia: ma in cambio vuole che Ankara non acquisti più petrolio e gas naturale dalla Russia. I rischi e vantaggi dall’offerta Usa si mescolano alle dinamiche regionali ed euromediterranee, che investono sia Grecia e Cipro, ma anche il versante libico e siriano
Non è come accendere o spegnere un interruttore. Piuttosto il delicato dossier legato agli F-35 alla Turchia porta in dote una serie di riflessioni interconnesse, che vanno affrontate tutte assieme. La sicurezza della Nato, il sistema russo S-300, le relazioni russo-turche, l’approvvigionamento energetico, l’incolumità di Cipro e Grecia e la diplomazia in Ucraina e Gaza. Tanti, forse troppi elementi, che però si coagulano attorno al player turco. Il vertice alla Casa Bianca tra il presidente degli Stati Uniti e il suo omologo turco nello Studio Ovale si è concluso senza impegni precisi, ma ha registrato una serie di passi in avanti.
Il dossier F-35 e l’energia
Lo scambio di convenevoli è stato di questo tenore. “Possiamo facilmente raggiungere un accordo sugli F-35, ma prima Erdogan dovrà fare qualcosa per noi”, ha detto Trump ai giornalisti presenti, lasciando aperte molte porte. Inoltre vorrebbe che la Turchia smettesse di “acquistare petrolio dalla Russia mentre la Russia continua a spargere sangue contro l’Ucraina, la cosa migliore che potrebbe fare è non acquistare petrolio e gas dalla Russia, se lo facesse, sarebbe la cosa migliore”. E ancora: “Erdogan ha accettato di smettere di acquistare petrolio russo?”, ha chiesto un giornalista al presidente americano, il quale ha replicato: “Non voglio dirlo. Ma se volesse, lo farebbe”.
Appare chiaro come la reticenza con cui l’amministrazione Biden aveva gestito l’affare F-35 con la Turchia stia progressivamente lasciando il passo ad una contrattazione a tutti gli effetti, con un do ut des preteso dagli Usa. L’elemento variabile è rappresentato dall’intreccio con le iniziative erdoganiane nella sua area di competenza e anche fuori, in primis l’energia.
La presenza di copiosi giacimenti di gas al largo di Cipro è vista da Ankara come una minaccia geopolitica, anche per questa ragione il gasdotto Eastmed che avrebbe dovuto portare il gas in Italia partendo da Israele è stato messo da parte. Anche il caso libico segue lo stesso leit motiv, con l’accordo sulla zona economica esclusiva siglato fra Tripoli e Ankara fortemente contestato da Atene. Ce n’è abbastanza per immaginare una serie di rischi di stabilità interna di quell’area. Senza dimenticare i riverberi in seno alla Nato, il cui membro (la Turchia) non potrebbe avere in contemporanea il sistema russo S-400 e gli F-35.
Il fronte ucraino
Trump ha anche aggiunto di credere che Erdogan sia rispettato sia dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky sia dal presidente russo Vladimir Putin, il che significa che potrebbe “avere molta influenza” nella guerra “se lo desidera”. Un altro punto di analisi che si somma ai precedenti, accrescendo il volume complessivo della questione. Non sfuggirà che il dialogo esistente fra Erdogan e Putin ha più volte messo in luce il ruolo turco come possibile mediatore tra i due contendenti, così come accaduto in occasione della crisi del grano nel Mar Nero, senza dimenticare le solide relazioni industriali esistenti tra Russia e Turchia (si veda la centrale nucleare realizzata da Rosatom).
Gli effetti nell’area mediterranea
Se nelle due ore e mezza di colloquio nello studio Ovale Erdogan avesse dato ampie garanzie in questo senso a Trump, allora la partita dei caccia potrebbe considerarsi riaperta a tutti gli effetti, con la Nato chiamata in causa in senso diretto per sciogliere i dubbi già citati in precedenza. Sarebbe necessario un ventaglio di garanzie che la Turchia dovrebbe offrire anche nei riguardi dei vicini greci, membri della Nato, con cui le tensioni non sono scemate. Al pari della questione cipriota, messa in stand by dopo il fallimento della mediazione di Cras Montana.