A Lubiana, i parlamentari dei Paesi membri hanno discusso di tre nodi cruciali: il sostegno a Kiev e la costruzione di una difesa più attiva, la lotta alle ingerenze esterne nei sistemi democratici, e l’impegno finanziario degli Stati alleati. Temi che segnano il passaggio da una Nato “reattiva” a una Nato “resiliente e proattiva”. Colloquio con il capogruppo di Azione alla Camera, Matteo Richetti
La sensazione, al termine dei lavori dell’Assemblea parlamentare della Nato, è che qualcosa stia cambiando. L’Alleanza Atlantica si muove, evolve, ricalibra la propria postura di fronte a un mondo che non concede tregue. L’aggressione russa all’Ucraina non è più soltanto un conflitto regionale: è il laboratorio di una nuova stagione geopolitica, in cui la sicurezza non si misura più solo in termini di armamenti, ma anche di infrastrutture digitali, informazione e difesa dei processi democratici. A Lubiana, i parlamentari dei Paesi membri hanno discusso di tre nodi cruciali: il sostegno a Kyiv e la costruzione di una difesa più attiva, la lotta alle ingerenze esterne nei sistemi democratici, e l’impegno finanziario degli Stati alleati. Temi che segnano il passaggio da una Nato “reattiva” a una Nato “resiliente e proattiva”. Tra i protagonisti dei lavori, Matteo Richetti, capogruppo di Azione alla Camera e componente dell’Assemblea parlamentare della Nato, che spiega a Formiche.net come l’Alleanza si stia ridefinendo e quale ruolo l’Italia è chiamata a giocare.
Onorevole Richetti, partiamo dal tema centrale: l’Ucraina. A Lubiana si è parlato di un cambio di passo, di una “difesa più attiva”. Cosa significa, concretamente?
Significa che la Nato sta prendendo atto di un dato politico e militare: Putin non ha alcuna intenzione di costruire le condizioni per una tregua orientata alla pace. Questo obbliga a pensare la difesa non solo in termini reattivi, ma proattivi. Parliamo di individuare obiettivi strategici sul territorio russo, di togliere alla Russia gli strumenti con cui alimenta l’aggressione – armi, munizioni, approvvigionamenti energetici. Non è un cambio di natura della Nato, che resta difensiva, ma un’evoluzione della sua postura.
Si parla molto del cosiddetto “muro di droni” sul fianco Est. È un simbolo o una strategia concreta?
È una strategia concreta, e in parte già in costruzione. La presenza della Nato lungo il confine orientale serve a rendere stabile una difesa che non sia solo militare ma anche tecnologica. Il muro di droni è un sistema permanente di sorveglianza e deterrenza, che integra intelligence, cyberdifesa e capacità di risposta immediata.
Molti Paesi dell’Est – dalla Polonia alla Finlandia – si percepiscono già dentro il conflitto. L’Italia, invece, che ruolo sta giocando?
Un ruolo riconosciuto, e lo ha sottolineato anche Rutte. I nostri caccia hanno intercettato droni russi nei cieli dell’Estonia. È un contributo concreto, che testimonia l’impegno italiano sul fianco Est. L’Italia partecipa con serietà, pur mantenendo un equilibrio politico importante: siamo un Paese che crede nella deterrenza, ma anche nel dialogo.
Altro tema cruciale è quello delle ingerenze nei processi democratici. A Lubiana si è parlato di una “resilienza democratica” targata Nato. Cosa dobbiamo aspettarci?
Abbiamo discusso molto di come le democrazie siano oggi vulnerabili non solo militarmente ma anche digitalmente. Manipolazione delle elezioni, interferenze tramite social, algoritmi che orientano l’opinione pubblica – pensiamo al caso della Georgia. Per questo la Nato ha deciso di costituire un Centro di resilienza, una struttura che monitori, prevenga e segnali ai Paesi membri la necessità di dotarsi di leggi adeguate. È un passaggio essenziale per difendere le consultazioni democratiche dall’interno.
TikTok, algoritmi, fake news: la minaccia non è più solo nei cieli ma nei dati. La Nato può davvero intervenire su questo terreno?
Può farlo se i Paesi membri riconoscono che la sicurezza oggi è anche informativa. Non si tratta di censura, ma di trasparenza e responsabilità. Stiamo creando un’“authority” in grado di individuare i rischi prima che diventino crisi. Difendere la democrazia è difendere il sistema di valori che la Nato rappresenta.
Infine, i finanziamenti. Rutte ha ricordato l’impegno di portare la spesa per la Difesa dal 2 al 5%. Un obiettivo realistico per l’Italia?
È una sfida che dobbiamo affrontare con pragmatismo. Non si tratta solo di spendere di più, ma di spendere meglio, investendo in infrastrutture strategiche, tecnologie, interoperabilità. La sicurezza non è una spesa accessoria: è una condizione per la nostra libertà politica ed economica.
In sintesi, quale immagine della Nato emerge da Lubiana?
Una Nato più consapevole del tempo in cui vive. Capace di difendersi, ma anche di prevenire; di proteggere i confini, ma anche la democrazia. È un’Alleanza che si aggiorna, e in cui l’Italia deve continuare a essere protagonista.