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Raggiunto l’accordo sull’industria della Difesa in Europa. 1,5 miliardi per l’industria e preferenza Ue

Con l’accordo sull’Edip, Bruxelles passa dalla logica dell’emergenza a quella della strutturalità. L’Edip mette ordine nel mosaico dell’industria della Difesa, introduce regole comuni per gli acquisti e una preferenza europea per i fondi destinati al riarmo. Nella cornice di una cooperazione più stretta tra Stati membri, il programma apre anche all’integrazione dell’industria ucraina e prepara il terreno per una vera governance comunitaria della produzione militare

A poche ore dalla presentazione della Roadmap per la prontezza operativa entro il 2030, un altro tassello della costruzione della Difesa europea ha trovato collocazione. I negoziatori della presidenza del Consiglio dell’Unione europea e del Parlamento europeo hanno trovato la quadra sull’Edip (European defence industry programme), la proposta di regolamentazione per rendere strutturale il supporto all’industria della difesa in tutta l’Unione. L’Edip era atteso da mesi e, in più occasioni, è stato descritto come lo strumento che dovrebbe ridurre la frammentazione industriale sul continente. I suoi contenuti non si limitano al solo sostegno finanziario, ma prevedono anche nuove forme di coordinamento degli acquisti, il principio della preferenza europea e la creazione di fatto di nuove prerogative relative alla Difesa per le istituzioni comunitarie.

Quanto ai fondi, la dotazione dell’Edip per il triennio 2025-2027 ammonterà a 1,5 miliardi di euro, con 300 milioni destinati direttamente al supporto per l’industria ucraina – a oggi, la più performante d’Europa sul piano della produzione. I finanziamenti saranno erogati sotto forma di prestiti garantiti, sul modello dello strumento Safe della Commissione europea, e potranno essere ulteriormente integrati dai fondi non spesi del Recovery and resilience facility (in gergo, il Recovery fund).

Fino a oggi, gli strumenti comunitari come l’Act in Support of ammunition production (Asap) e l’European defence industry reinforcement through common procurement Act (Edirpa) avevano offerto risposte di carattere emergenziale, prive di un orizzonte stabile oltre il 2025. Con la European defence industry strategy (Edis), presentata nel marzo 2024, la Commissione ha inteso colmare quel vuoto, proponendo il regolamento per l’Edip come primo strumento legislativo strutturato volto a rendere sistematica la cooperazione nel settore e l’armonizzazione delle politiche industriali.

Le novità dell’Edip

L’istituzione del primo Eu security of supply regime in materia di difesa è forse la novità più sostanziale del nuovo programma. Fino a oggi, la sicurezza delle forniture di componenti militari era prerogativa dei singoli Stati, mentre l’Edip introduce un meccanismo sovranazionale pensato per assicurare accesso tempestivo e coordinato a materiali critici, sistemi d’arma e pezzi di ricambio in scenari di crisi. 

Sul piano del procurement convenzionale, l’istituzione del catalogo unico per i prodotti della difesa permetterà di raccogliere in un unica lista tutti gli equipaggiamenti acquistabili dagli Stati membri. Il catalogo sarà inevitabilmente lungo, data la grande eterogeneità e ridondanza di sistemi simili, ma rappresenterà un primo, necessario, passo verso l’uniformazione degli acquisti in base a capacità e prestazioni. Tramite tale catalogo sarà inoltre possibile effettuare acquisti congiunti; ciò permetterà di piazzare ordini più consistenti e, di conseguenza, di garantire consegne più rapide e sostenere l’aumento della produzione.

Altro punto interessante del documento riguarda l’istituzione degli European defence projects of common interest (Edpcis). A differenza dei singoli programmi di sviluppo congiunti, gli Edpcis rappresenteranno una piattaforma stabile di confronto sugli investimenti tecnologici e gli asset strategici. Si tratta di uno sviluppo da non sottovalutare, soprattutto sul piano del risparmio economico. Così come a essere frammentata è l’industria, in Europa i processi di ricerca e sviluppo in ambito militare rimangono rigidamente compartimentati su base nazionale. Gli Edpcis promettono di rappresentare un primo nucleo di progetti sensibili che, oltre a identificare priorità e allocare finanziamenti, permetteranno di evitare duplicazioni inutili e concorrenza intra-europea. Nello stesso solco si inserisce la creazione del Structure for european armament programme, che si prefigge l’obiettivo di semplificare la conduzione di programmi congiunti. La nuova struttura mira a razionalizzare questi processi, offrendo un quadro giuridico comune per gestire la proprietà intellettuale, la condivisione dei costi, la certificazione tecnica e le licenze di esportazione. In prospettiva, ciò potrebbe ridurre drasticamente la burocrazia e accelerare i tempi di sviluppo dei programmi multinazionali. Non si tratta ancora di una “agenzia europea degli armamenti”, ma di un primo passo verso quella direzione.

L’industria ucraina è già nell’Ue

Il percorso dell’Ucraina verso la membership dell’Unione europea è ancora lungo, ma la sua industria è già parte del tessuto europeo. All’interno del nuovo documento viene infatti riservata molta attenzione verso l’industria ucraina. Nonostante i quasi quattro anni di conflitto, Kyiv (con il supporto degli Alleati) ha messo in piedi una capacità produttiva impressionante, capace di sostenere la difesa ucraina e di supportarne le attività anche durante i periodi in cui gli aiuti europei e Nato hanno subito rallentamenti. L’Ukraine support instrument (Usi) sarà infatti destinatario di 300 milioni di euro che serviranno per aumentare l’integrazione dell’industria di Kyiv nella European defence technological and industrial base (Edtib).

Preferenza europea per gli acquisti

Altro perk dello status di Paese associato al riarmo continentale è quello che permetterà ai prodotti ucraini di sfuggire alla tagliola del principio della preferenza europea. Su esempio dello strumento Safe, l’Edip prevede che i suoi fondi non potranno finanziare l’acquisto di equipaggiamenti la cui quota totale di componenti ecceda il 35% prodotto nei confini dell’Ue. Il principio della preferenza europea non è assoluto e non esclude la stipula di contratti ad hoc con Paesi terzi associati e Alleati, ma garantisce che i finanziamenti destinati al riarmo abbiano ricadute economiche dirette sulle imprese europee. Tale garanzia, insieme alla consistenza degli ordini, sarà centrale per mettere in sicurezza il rilancio delle industrie continentali, alle quali è richiesto uno sforzo non indifferente per rilanciare la produzione.

Quanti fondi per il riarmo?

“Investiremo, entro il 2035, circa 6.800 miliardi di euro nella difesa, di cui il 50% per quella effettiva: un vero big bang nel finanziamento della difesa”. Questa affermazione del commissario europeo per la Difesa e lo Spazio, Andrius Kubilius, ha provocato più di un’incomprensione, specialmente sulla stampa italiana. Come lo stesso Kubilius ha chiarito nel corso del suo intervento, quella dei 6.800 miliardi è una stima (e non un’indicazione) della spesa cumulativa tra fondi Ue e stanziamenti nazionali (e quindi decisi autonomamente) dei singoli Stati. Nelle parole di Kubilius, “la spesa si baserà principalmente sui bilanci nazionali, che stanzieranno risorse cento volte maggiori rispetto a quelle Ue”. Che Kubilius abbia più volte esortato gli Stati europei a prendere seriamente gli investimenti per la difesa è indubbio, tuttavia, diversamente da come alcuni hanno raccontato, quella sui 6,800 miliardi rimane una stima e non un’indicazione – tantomeno vincolante – di spesa verso gli Stati. Episodi simili si sono verificati a seguito della pubblicazione del Libro bianco per la Difesa che, ai 150 miliardi messi sul piatto dallo strumento Safe, accostava una stima di 650 miliardi che gli Stati sarebbero stati in grado di mobilitare in funzione dell’allentamento dei criteri del Patto di Stabilità. La Difesa rimane infatti prerogativa nazionale e, fintanto che il Consiglio non delibererà diversamente, i volumi di spesa saranno decisi dai singoli Paesi.


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