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La polarizzazione del dibattito fa male (soprattutto) a sinistra. La versione di Panarari

Il contesto politico è quello di una contrapposizione sempre più dura nei toni a detrimento dei contenuti. Le durissime contrapposizioni di questi giorni che hanno riguardato il segretario della Cgil, la segretaria del Pd e la premier ne sono un esempio lampante. Landini doveva scusarsi, tra la dem e Meloni è ormai una delegittimazione reciproca. Appendino sta aprendo uno squarcio nel Movimento 5 Stelle che rende ancor più problematica la situazione del sinsitra-centro. Colloquio con il politologo Massimiliano Panarari

Più che dibattito, scontro. Più che contrapposizione, deflagrazione. In un contesto politico segnato da toni sempre più esasperati, dove le schermaglie tra la premier Giorgia Meloni, il segretario della Cgil Maurizio Landini e la leader del Pd Elly Schlein si intrecciano con le tensioni interne al Movimento 5 Stelle — culminate con l’addio alla vicepresidenza del partito di Chiara Appendino —, la riflessione del politologo e sociologo di UniMoRe Massimiliano Panarari aiuta a decifrare le coordinate profonde della crisi che attraversa il centrosinistra e, più in generale, a capire quanto la dialettica politica risenta sempre di più di una polarizzazione preoccupante e – forse – irreversibile. 

Da giorni si assiste a un crescendo di polemiche. Dalla frase di Landini, alle reazioni della sinistra, passando per le schermaglie tra Meloni e Schlein. Che momento stiamo vivendo?

Viviamo una fase di crescita esponenziale della polarizzazione e della violenza verbale, una dinamica che non risparmia nessuno schieramento. La sinistra, in particolare, ne è rimasta contagiata, e questo è significativo. Da tempo fatica a essere “sul pezzo”, e il passaggio dai grandi temi — come salari e sanità — a proposte concrete resta ancora troppo spesso sulla carta. Non stupisce che in molti elettori prevalga il rifugio nell’astensione.

Il caso Landini-Meloni ha avuto un’eco notevole. Lei ha parlato di “cortigianeria al contrario”. 

Sì. L’uso del termine “cortigiana” è stato un errore evidente. Landini ha compiuto una traslazione dal maschile al femminile, ma in un contesto del genere le parole pesano. Doveva scusarsi subito: sarebbe bastato poco per chiudere la questione. Invece è scattato un riflesso condizionato di difesa a oltranza, un classico meccanismo identitario.

Eppure il tema del sessismo è molto sentito a sinistra. Un cortocircuito?

È proprio questo il punto: il nodo del sessismo nasce a sinistra, che ha storicamente elaborato strumenti critici e culturali per affrontarlo. Ma oggi sembra prevalere una doppia morale. Il rifiuto di ammettere l’errore mina la credibilità del messaggio e allontana ulteriormente una parte dell’elettorato. Fino a poco tempo fa, una simile rimozione sarebbe stata impensabile. Oggi il muro contro muro prende il sopravvento — e Meloni, in questo gioco, ha spesso la meglio. Il suo è un muro più alto, più strutturato.

Un clima che appare sempre più tossico. A cosa lo attribuisce?

C’è stata una diffusione capillare della cultura politica populista. È passata da destra a sinistra attraverso il Movimento 5 Stelle, contaminando tutto il sistema. Il risultato è che anche la sinistra si ritrova ad adottare toni che non le appartengono storicamente, e che non producono consenso.

Schlein e Meloni dovevano incarnare una dialettica di sistema. Invece, cos’è successo?

Inizialmente, sembrava che le due leader potessero rappresentare una forma di legittimazione reciproca. Una dinamica utile al confronto democratico. Siamo arrivati, invece, alla delegittimazione reciproca. Questo contribuisce a un clima da rigetto per alcune fasce dell’opinione pubblica e trasforma il dibattito politico in un campo di battaglia permanente. Un contesto dove ogni critica genera una reazione sproporzionata, come se fosse una questione di controllo del dissenso. Il centrodestra berlusconiano, sotto questo aspetto, mostrava toni molto più distesi.

Come colloca l’orribile attentato subito da Ranucci nei giorni scorsi in questo contesto?

È un episodio inquietante. Rafforza la sensazione che il dibattito sia ormai ostaggio di una logica muscolare. Quanto più i toni si alzano, quando meno si aggrediscono i temi nel loro profondo.

Nel frattempo, nel Movimento 5 Stelle, Chiara Appendino si dimette dalla vicepresidenza. Cosa significa?

In questo momento, Appendino è isolata. Il Movimento è sempre stato monocratico, saldamente nelle mani di Grillo prima e di Conte adesso. Ma il gesto di Appendino apre una breccia. Potrebbe essere l’inizio di una dialettica interna più visibile, una frattura latente che potrebbe rafforzarsi se il consenso dovesse calare. Appendino sembra voler recuperare lo spirito originario del Movimento, quello del trionfo del 2018. Ma è difficile tornare alle pulsioni anti-sistema con la linea ultra-governista adottata oggi da Conte.

C’è ancora uno spazio per il centrosinistra in questo quadro?

Il centrosinistra è in grave difficoltà. È frammentato, privo di una visione condivisa e travolto dalle contraddizioni. Conte gioca una partita tutta sua, che passa anche per una logica di ricatto nei confronti degli alleati. La prospettiva è che questa situazione continui ad alimentare l’impasse, allontanando ulteriormente il fronte progressista dalle reali esigenze del Paese.


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