Luigi Marattin, segretario del partito Liberaldemocratico, analizza la legge di Bilancio soffermandosi sui suoi limiti strutturali e su alcune misure considerate utili per imprese e produttività, nel solco dell’equilibrio dei conti. Nell’intervista a Formiche.net affronta anche il nodo della legge elettorale, indicando nel proporzionale con sbarramento o nel maggioritario a doppio turno le uniche opzioni in grado di restituire coerenza e stabilità al sistema politico italiano
Il passaggio della Manovra al Senato chiude un iter tormentato, segnato da tensioni nella maggioranza e da una dialettica spesso sbilanciata verso scorciatoie populiste. In questo quadro resta però centrale il lavoro di Giancarlo Giorgetti, chiamato a tenere insieme conti pubblici e credibilità internazionale in una fase tutt’altro che semplice. Ne parliamo con Luigi Marattin, deputato e segretario del partito Liberaldemocratico. Da economista di lungo corso, Marattin consegna alle colonne di Formiche.net un’analisi netta, senza sconti, che prova a riportare il dibattito sul terreno della serietà istituzionale.
Oggi passa in Senato la legge di Bilancio dopo un percorso piuttosto accidentato anche all’interno della maggioranza. Lei è stato piuttosto critico, anche se alla fine è passata la “linea Giorgetti”. Che ne pensa?
Dal punto di vista del metodo, questa legge di bilancio conferma e aggrava il trend degli ultimi anni, chiunque fosse al governo. All’interno di una sessione di bilancio che dura ben due mesi e mezzo, solo una delle due camere può realmente esaminare la manovra, e solo per poche ore. Questa distorsione – alla quale politica e informazione sembrano essere ormai abituati – rappresenta un’abnormità vera e propria. Noi del Partito Liberaldemocratico già diversi mesi fa abbiamo suggerito una soluzione: riunire i 400 deputati e i 200 senatori in un’unica Assemblea Nazionale di 600 membri, in modo da contribuire a ridare centralità e autorevolezza al Parlamento. Un Parlamento forte è la pre-condizione per un Governo forte, in una società liberaldemocratica. Dal punto di vista del merito, il nostro giudizio è più articolato. Tra la completa retromarcia sulle pensioni e la norma-cialtronata su Bankitalia, mi pare che anche stavolta (come sul No al Mes o le lisciate di pelo ai No Vax) abbia trionfato la parte populista della maggioranza.
Quali sono gli elementi di criticità più evidenti e quali invece i punti di forza di questa Finanziaria?
Le cose che non ci sono piaciute sono il raddoppio della Tobin Tax, che era la bandiera dei No Global nel G8 di Genova del 2001. L’emendamento terrapiattista sull’oro di Bankitalia. L’aver sprecato due miliardi tra pensioni e rottamazione invece di destinarli, come avevamo suggerito noi, alla riduzione dell’Irpef di dieci punti nella fascia 50-60 mila euro. La detassazione degli aumenti contrattuali, che fatta così è inutile e aggiunge confusione: noi avevamo suggerito, con le stesse risorse se non addirittura meno, di concentrarla sulla contrattazione di secondo livello in modo da eliminare completamente ogni imposizione fiscale. Le cose buone sono la norma sul silenzio-assenso del Tfr alla previdenza complementare, la detassazione quasi completa dei premi di produttività (che era una proposta lanciata la scorsa primavera dal Partito Liberaldemocratico), nonché il ripristino di Industria 4.0 e le risorse per le imprese.
Spesso lei ha criticato l’esecutivo per non aver inciso in maniera decisa sulla riduzione del carico fiscale. Come si sarebbe potuto agire su questo versante?
Come ho detto, bastava evitare di dare – fin dal testo base – quei due inutili contentini alla Lega di Salvini: l’anticipo di un mese, e solo per due anni, dell’età pensionabile e l’inutile rottamazione delle cartelle. Con le risorse risparmiate si sarebbe potuto ridurre dal 43% al 33% l’aliquota Irpef sulla fascia di reddito tra i 50 e i 60 mila euro annui lordi, dando così un beneficio vero – e non assolutamente simbolico, come invece hanno fatto – al ceto medio di questo Paese. Quelli che io chiamo i “muli da soma”: perché mandano avanti il Paese e sono massacrati di tasse come nessuno nel mondo occidentale.
Sulla riforma della giustizia il suo partito Liberaldemocratico si è speso in senso positivo. Come giudica invece l’iter sulla legge elettorale?
Siamo l’unico partito italiano che ha promosso un comitato per il SI al referendum sulla separazione delle carriere, si chiama Giustizia SI e ha raccolto un sacco di personalità esterne al partito, da Stefano Esposito a Annamaria Bernardini de Pace. Sulla legge elettorale, la nostra posizione è chiara. Sono solo due i sistemi elettorali che possono funzionare in Italia: o un proporzionale puro con sbarramento, o un maggioritario a doppio turno. Cos’hanno in comune questi sistemi così diversi? Che in entrambi i casi non costringono i partiti a presentarsi in coalizioni eterogenee e raffazzonate, che in tutta evidenza non funzionano più. Che è la disfunzione più grande dell’attuale sistema politico italiano.
Quale spazio politico immagina per la sua formazione in questo scenario polarizzato? Con Azione è un matrimonio o un amore passeggero?
Purtroppo difficilmente ci ascolteranno sulla legge elettorale, quindi vedremo cosa produrranno nel 2026. In ogni caso io penso ci sia un pezzo di Italia che non si sente rappresentato né dal centrodestra né dal centrosinistra. Un pezzo d’Italia che non vuole rischiare di mandare col proprio voto, direttamente o indirettamente, Salvini a fare il ministro dell’Interno o Conte a fare il ministro degli Esteri. Ad oggi questo pezzo d’Italia non ha una piena, forte e unitaria rappresentanza politica, e il Partito Liberaldemocratico è nato per compiere questa missione. Come precisato più volte, non abbiamo manie di protagonismo e non vogliamo farlo da soli, ma con chiunque condivida la necessità di presentare agli italiani, alle politiche del 2027, una terza opzione di stampo liberaldemocratico. A patto di farlo per bene però, evitando tutti gli errori che nel passato hanno affossato tentativi simili.
















