La raffinazione in Italia e in Europa attraversa un momento di crisi e per questo il progetto dell’Eni per Gela rappresenta l’unica soluzione possibile e a costo zero per lo Stato per provare a salvare l’impianto dalla chiusura definitiva.
A crederlo è Davide Tabarelli, economista esperto in materia energetica e presidente di Nomisma Energia, che in una conversazione con Formiche.net spiega perché i sindacati, che ieri hanno guidato uno sciopero nazionale contro la riconversione del petrolchimico, sbagliano bersaglio.
Perché i sindacati stanno protestando contro il piano di Eni per Gela?
Perché sono sempre in ritardo e arrivano quando i buoi sono ormai scappati. Il compito dei sindacati deve essere quello di intervenire in anticipo nel definire con l’azienda una strategia industriale e non arrivare solo per ottenere ore di cassa integrazione il cui costo va poi a spalmarsi sull’intera comunità.
È giusta la strategia di Eni?
In base alla logica industriale e finanziaria, Gela andava chiusa già vent’anni fa. Si è fortemente indebolita con il venir meno di un’industria chimica di base nazionale. La strada scelta da Eni, quella della riconversione, è l’unica possibile.
È fattibile il progetto di riconversione annunciato da Eni?
È una speranza flebile, viene fatto per mantenere in vita un presidio e per tenere contenti i sindacati, evitando conflitti sociali, come già avvenuto in passato. Tuttavia mi sembra un esempio unico nel suo genere, in un campo, quello dei biocarburanti, che fa fatica a decollare. Ma visto lo stato delle cose, Eni fa bene a provare con la chimica verde.
Non immagina strade alternative?
La scelta più giusta sarebbe quella di ricorrere all’idea per cui lo stabilimento era nato per volere dello stesso Enrico Mattei, cioè sfruttare gli ampi giacimenti petroliferi sotto il territorio siciliano e lavorarne il greggio pesante. Ma i veti ambientalisti, come in tutta Italia, lo impediscono, procurando un danno non solo alla regione ma a tutto il sistema nazionale. Dove sono i sindacati davanti a queste proposte di buon senso? Dove sono quando bisogna difendere l’industria che porta ricchezza e sviluppo? Il caso di Gela non è purtroppo diverso da quello che da anni vede uno scontro tra magistratura, industria e capitale.
Sono davvero poco redditizie le nostre raffinerie?
I margini sono stati negativi negli ultimi due anni. Società come Eni sopravvivono perché hanno forti guadagni derivanti dall’estrazione, ma il nuovo management si trova davanti alla scelta inevitabile di realizzare una pesante ristrutturazione.
C’è una ristrutturazione del settore in tutt’Europa?
Sì, non è solo un problema italiano, ma di tutto il continente. C’è un trend di calo della domanda europea, con un aumento delle importazioni dall’Asia e meno esportazioni verso gli Usa. Altri impianti saranno destinati a chiudere.