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Che cosa non deve fare il centrodestra

Sono ormai alcuni mesi che la situazione politica nazionale spinge verso una riconsiderazione generale del centrodestra italiano. Tutto è cominciato quando, nell’autunno dell’anno scorso, il Popolo delle libertà si è spaccato in due. Silvio Berlusconi da figura unitaria dell’area moderata, com’è sempre stato per vent’anni, è divenuto all’improvviso elemento divisore. La rifondazione di Forza Italia ha spinto rapidamente a un’inedita contrapposizione, basata sull’endiade vecchio-nuovo. E dalle ceneri della scissione è nato l’Ncd di Angelino Alfano. Ebbene, non è tanto importante ripercorrere la cronologia di eventi ben conosciuti che si sono susseguiti uno dopo l’altro, sempre all’ombra dei problemi giudiziari dell’ex cavaliere e dell’ascesa nel Pd e nel Paese di Matteo Renzi. È importante semmai, come urgente motivo di riflessione, la grande questione dell’identità complessiva del centrodestra italiano: esiste? È possibile costruirla? E, se c’è, coincide con la persona di Silvio Berlusconi, oppure esiste indipendentemente da essa?

Queste e altre domande del genere sono state al centro di un dibattito, che si è sviluppato prevalentemente su Formiche.net, e che ha avuto il merito di porre attenzione alla necessità e all’utilità politica di un cantiere di lavoro di tipo intellettuale attorno alla definizione dell’identità italiana del centrodestra, pensata ovviamente in rapporto alla nostra tradizione politica e al contesto europeo.
Nell’ampia discussione sono emerse alcune posizioni molto nette, originali rispetto al modo in cui correntemente è vissuta e percepita dalla politica parlamentare l’appartenenza al centrodestra. In primo luogo, non ci si può accontentare né di una pragmatica definizione negativa, secondo cui basti non essere del Pd per essere parte del mondo moderato. E, in secondo luogo, non si può seguire la divisione europea tra Ppe e area anti-Unione, perché la competitività elettorale dei popolari con la sinistra è possibile da noi solo con una federazione unitaria di tutte le forze in campo, non senza dunque Fratelli d’Italia e Lega. È comunque importante superare l’identità-Berlusconi per trovare una forma di appartenenza comune che sia concepita a un livello essenziale, originale e fondamentale.

Una prima possibile prospettiva è quella che si àncora a un’idea individualista di società. Il centrodestra dovrebbe giocare una partita liberale in senso stretto, puntando sul primato del singolo sulla collettività. In specie, il centrodestra dovrebbe lasciar stare i riferimenti identitari forti (religiosi, etici, eccetera) e concentrarsi su una proposta neo contrattualista, in modo tale da sostenere anche posizioni ritenute più avanzate sul piano antropologico (coppie di fatto, laicismo, e così via). Ad avviso di chi scrive questa idea è sensata ma insufficiente a rifondare il centrodestra. Non soltanto, infatti, si verrebbero accentuando le distanze con i partiti di destra ma si sfumerebbero le distinzioni con il centrosinistra, ormai da anni sostenitore di una linea culturale relativista e anti comunitaria. Oltretutto, volere un centrodestra a base individualista significherebbe smarrire se stessi, puntando a essere una sinistra liberale, culturalmente parlando, di fronte ad una sinistra socialista europea.

La mia personale persuasione è che si deve ripartire, invece, dalla quintessenza della cultura popolare e conservatrice. Secondo questa lettura, la rifondazione del centrodestra deve saldarsi certamente sul liberalismo (vale a dire, centralità individuale della persona, autonomia, Stato minimo, ecc.), inserendo però questo presupposto nel quadro di una serie di valori comunitari superiori che siano il vero collante comune dei moderati italiani. Basterebbe, a tal fine, proporre un’interpretazione specifica dell’articolo 1 della nostra Costituzione che recita, nella seconda parte: “La sovranità appartiene al popolo”. L’affermazione significa, infatti, che la democrazia reale è il fondamento dello Stato repubblicano. E l’identità comunitaria si regge principalmente su una diffusa mentalità che anima il nostro stare insieme ed esistere come italiani. Tali valori antropologici, familiari, eccetera costituiscono l’architrave che definisce e qualifica le diverse anime del centrodestra.

A cosa serve, d’altronde, sostenere larghe e piccole intese, se non si è in grado di corrispondere al criterio di vita alternativo alla sinistra dei moderati italiani?
Non essere di sinistra vuol dire pensare che non sia lo Stato che fa stare insieme le persone, e tanto meno l’Unione europea, ma sono le persone stesse e il loro spirito comunitario. E non è certo proponendo prospettive liberal, estranee alla cultura italiana, che si riavvicinerà la politica al modo di ragionare e di vivere dei cittadini. La politica può riformare più o meno tutto, può trasformare il nostro sistema da bicamerale a monocamerale a presidenziale, può propendere per una politica filo russa o filo americana, o perfino entrambe insieme, ma quello che il centrodestra non può fare è assumere categorie che rafforzino ideologicamente l’altra parte politica, divenendo succube e subalterna intellettualmente al socialismo.

Il valore di una democrazia è il grado di appartenenza delle istituzioni e dei suoi rappresentanti alla sostanza comunitaria, perché un popolo è sovrano quando lo Stato è inscindibile dall’identità profonda e permanete dei cittadini. E questa identità oggi non è minacciata frontalmente, come un tempo, dal comunismo, ma è erosa mediante una retorica imbonitrice e edulcorante che è l’essenza stessa del renzismo.
Alla fine, i moderati hanno bisogno di ritrovare e recuperare i veri motivi popolari e conservatori del proprio elettorato, usandoli come grimaldello culturale per svelare le ambiguità e le contraddizioni del Pd, partendo naturalmente dal valore supremo della persona umana, sulla cui dignità trascendente non è possibile soprassedere e senza cui non è veramente sensato fondare alcun tipo di progetto politico che abbia le credenziali di un nuovo centrodestra moderno e vincente.

Articolo pubblicato sul numero di Agosto-settembre della rivista Formiche


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