Skip to main content

Tutte le sfide della Rai (in una seduta di autocoscienza con Tarantola e Gubitosi)

Rivendicazione del primato del servizio pubblico e statale radio-televisivo sulla logica concorrenziale e di mercato. E rifiuto di privatizzazione anche parziale.

Per riflettere sulla propria identità e promuovere il suo rilancio nel panorama mediatico, la Rai ha promosso ieri presso il Centro Congressi-Auditorium Loyola di Roma un lungo convegno intitolato “Missione, indipendenza e governance del servizio pubblico: l’esperienza europea”.

L’identità originale della Rai

Un tema, ricorda la presidente Anna Maria Tarantola, che impone di stabilire con una legge la missione del servizio pubblico: “Perché nel nostro paese la Rai è stata percepita per troppo tempo come intercambiabile rispetto ai canali privati commerciali, a pagamento, telematici. E nella rincorsa dei propri concorrenti ha perso di vista la propria peculiarità: creare valore per i cittadini”.

E l’ex vice-direttore della Banca d’Italia enuclea tali principi. Rafforzare l’identità nazionale, le realtà locali, la coesione sociale, in un orizzonte europeo e mediterraneo. Favorire la maturazione di una cittadinanza consapevole, animata da spirito critico e in grado di partecipare alle scelte collettive. Garantire l’accesso universale ai contenuti informativi per tutte le fasce della popolazione e in ogni piattaforma tecnologica. Promuovere il pluralismo politico, linguistico, geografico, religioso, culturale. Affermare la cultura della legalità.

Emancipare la Rai dalla politica

Valori che non si traducono in un immediato profitto economico, ma contribuiscono a creare un capitale umano fondamentale per lo sviluppo economico-sociale e per stimolare la creazione di contenuti audiovisivi di qualità.

Ma tale missione, rileva il presidente di Viale Mazzini, non può essere messa in discussione a ogni rinnovo di contratto del servizio pubblico: “La Rai deve agire sul mercato in condizioni di indipendenza dalla politica e dagli interessi economici”.

È evidente il riferimento alla necessità di cambiare i criteri di nomina del consiglio di amministrazione, “troppo legati alla rappresentanza degli equilibri partitici e parlamentari”.

L’importanza di un linguaggio semplice

Ragionamento ripreso dal giudice costituzionale Giuliano Amato, a giudizio del quale la radio-televisione di Stato ha mancato la missione fissata nella legge di riforma del 1975: ampliare la partecipazione dei cittadini allo sviluppo culturale e sociale dell’Italia.

Per rendere i cittadini capaci di cogliere le chiavi delle conoscenze specialistiche essenziali per il nostro futuro, rileva l’ex capo del governo, l’azienda pubblica deve utilizzare il linguaggio più semplice possibile in tutti i canali: “In tal modo può favorire il superamento di stereotipi radicati, coltivando la memoria e la conoscenza dell’identità nazionale”.

No alla logica liberista

Parlare di televisione, precisa il presidente dello European Broadcasting Union Jean-Paul Philippot, vuol dire parlare della società che vogliamo: “Contro ogni restringimento del servizio pubblico auspicato in molte realtà europee dai partiti al governo e dai gruppi editoriali commerciali. Fenomeno che ha raggiunto l’apice in Grecia con la scomparsa della tv di Stato”.

Il che non equivale a salvaguardare e difendere lo status quo, né il rifiuto di evolvere. Ma contempla il rilancio di un servizio universale, volto a “creare un’agorà di condivisione nelle diversità. Rispetto a una logica di mercato che, come rivela il processo di fusione, concentrazione e semplificazione editoriale in atto negli Usa, restringe gli spazi di pluralismo”.

Meglio il canone di un fondo statale

Per valorizzare la centralità del servizio pubblico è essenziale una governance moderna in grado di garantire effettiva indipendenza editoriale. Requisito che per il direttore generale dell’emittente tedesca Ard Ulrich Wilhelm si traduce nell’assenza di intervento e interferenza della politica nella programmazione dei contenuti.

E in un finanziamento che in Germania viene versato nella forma di canone dalle famiglie di ogni Land, per una media di 216 euro annui: “Strumento più sano e democratico rispetto allo stanziamento statale di un fondo, che trasformerebbe il servizio pubblico in una parte dell’apparato istituzionale e produrrebbe una logica perversa dello scambio tra potere politico e organi di informazione”.

No alla lottizzazione antica e moderna

Un servizio pubblico, osserva il presidente dell’Associazione Stampa Estera in Italia Maarten van Aalderen, perde credibilità se è percepito come dipendente dal potere politico: “E la Rai, fin dalla riforma del 1975, presenta un problema di lottizzazione partitica che influisca sul contenuto dei telegiornali”.

Ora che sono stati compiuti passi in avanti nel livello di indipendenza della governance dalla politica, evidenzia il giornalista, è bene evitare di sostituire alla spartizione partitica una lottizzazione multi-culturale e multi-religiosa”.

Combattere lo strapotere dei colossi del Web

L’esigenza di realizzare nell’orizzonte europeo una riforma complessiva dell’assetto radio-televisivo pubblico è messa in rilievo da Silvia Costa, presidente della Commissione Cultura e Istruzione nell’Assemblea di Strasburgo.

Ai suoi occhi le linee-guida su cui muoversi sono l’apertura alle tecnologie e l’alfabetizzazione digitale dei cittadini, la lotta contro ogni intervento liberticida e dirigista come insegnano le esperienze di Grecia e Ungheria, la rimozione della “concorrenza sleale” e dei privilegi fiscali di colossi telematici come Google e Amazon.

Il modello Bbc

Una profonda revisione dell’assetto di governo Rai è invocata dal costituzionalista Enzo Cheli, il primo presidente dell’Autorità di garanzia nelle comunicazioni. A vigilare e sovrintendere sull’azienda radio-televisiva è un ginepraio di istituzioni: il governo con il Tesoro e il Ministero per lo Sviluppo economico, il Parlamento con una Commissione di Vigilanza “che non svolge efficacemente i poteri di indirizzo ma spesso interviene nella gestione”, le autorità amministrative indipendenti come AgCom e Authority per la concorrenza e il mercato, la Corte dei Conti.

Una sovrapposizione di competenze nella quale il giurista invita a mettere ordine. Guardando al modello della Bbc, fondato sul ruolo nevralgico di un trust di 12 membri scelti dalla Regina su criteri di merito e competenza oltre che rappresentativo della realtà sociale. Realtà affiancata da organi consultivi formati dall’opinione pubblica per esercitare un controllo di qualità.

È tale fondazione, rimarca il direttore vicario di Bbc Radio Graham Ellis, che gestisce il budget orientandolo verso precise priorità fissate per 5 anni. Con risultati positivi nella valutazione del rapporto costo-qualità da parte dei contribuenti.

No a una fondazione Rai

La formula suggerita da Cheli alimenta scetticismo in Luigi Arturo Bianchi, professore di Diritto commerciale all’Università Bocconi di Milano: “La fondazione rischia di rilanciare, come accaduto per nella realtà creditizia, il controllo politico locale in un intreccio opaco di interessi”.

Un finanziamento misto

Altro capitolo rilevante riguarda le modalità di finanziamento più propizie a garantire una gestione dell’azienda efficiente e autonoma.

Considerando la contrazione di risorse registrata da tutte le reti informative del Vecchio Continente, afferma il direttore generale dello European Broadcasting Union Ingrid Deltenre, lo strumento migliore resta quello misto. Per cui il pagamento di un canone annuale da parte dei cittadini – prevalente nell’Ue tranne che in Spagna, Belgio e Olanda – è affiancato alla vendita di spazi pubblicitari, allo sfruttamento dei diritti e alla vendita di prodotti.

Come fronteggiare l’evasione del canone?

Tuttavia, replica il presidente di Cassa Depositi e Prestiti Franco Bassanini, il canone in Italia ha valore di tassa obbligatoria legata al possesso di apparecchi radio-televisivi. E sconta un tasso di evasione tra 500 e 600 milioni su un valore complessivo di 1,7 miliardi di euro.

Per trovare un metodo di finanziamento stabile nel tempo essenziale per una strategia di programmazione e investimenti, l’ex ministro della Pubblica amministrazione propone di collegare l’abbonamento annuale alle bollette elettriche o al possesso di un appartamento: “Perché chi possiede più case ha il reddito per pagare più bollettini”.

La bussola di Palazzo Chigi

Una “riforma profonda del canone nel senso dell’equità e della certezza di risorse” è prospettata anche da Antonello Giacomelli, sottosegretario allo Sviluppo economico con delega alle Comunicazioni.

Il progetto del governo, spiega, non prevede né bollini blu di qualità sui programmi né una gara per l’attribuzione del ruolo di servizio pubblico alla migliore emittente. La priorità è il mutamento dei criteri di governance “per restituire alla Rai il ruolo di impresa, riducendo l’interferenza della politica e accrescendo le opportunità di riflessione”.

Riforma che per il presidente della Commissione parlamentare di Vigilanza Rai Roberto Fico contempla l’archiviazione della legge Gasparri imperniata sull’appartenenza partitica dei consiglieri di amministrazione.

Una governance duale?

Artefice di un piano per affrancare l’informazione pubblica dalla presenza ingombrante della politica, il direttore generale di Viale Mazzini Luigi Gubitosi prefigura per l’azienda una governance “duale” articolata in un Consiglio di gestione-amministrazione privatistica e un Consiglio di sorveglianza-controllo. Ma la scelta dei componenti di quest’ultimo organismo, rileva il manager, deve essere svincolata da criteri di vicinanza partitica.



CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter