Da lunedì 27 ottobre la Camera dei Deputati ha posto in consultazione pubblica la prima bozza della Dichiarazione dei diritti di Internet fondata sul pieno riconoscimento di libertà, eguaglianza, dignità e diversità di ogni persona. Elaborata nei mesi scorsi da una Commissione mista di 23 membri fra deputati, esperti del settore, rappresentanti delle imprese, delle associazioni e della società civile (vedi qui i componenti), la carta dei diritti di Internet è stata fortemente voluta dalla Presidente della Camera Laura Boldrini e coordinata dal giurista Stefano Rodotà.
LA CONSULTAZIONE
“E’ la prima volta che in Italia si istituisce in sede parlamentare una Commissione di studio su questi temi”, si precisa sul sito della Camera. Sulla piattaforma di consultazione pubblica tutti i cittadini interessati potranno contribuire valutando le proposte della Commissione ed elaborando commenti e suggerimenti. Per farlo avranno quattro mesi di tempo, anche se ad alcuni studiosi ed esperti del settore è bastato scorrere velocemente i 14 punti della Costituzione per intervenire nel dibattito.
QUALE FORZA GIURIDICA?
Per l’Istituto Bruno Leoni, che non comprende quale tipo di forza giuridica si possa dare alla Costituzione voluta dalla Boldrini, si tratterebbe solo di semplice retorica, visto che lo strumento non sarebbe “né utile, né di certo indispensabile al futuro della rete”.
Come si legge in un articolo pubblicato sul sito del pensatoio liberista, “Internet, dal punto di vista giuridico, non è uno spazio esterno alla vita reale delle persone” e “i diritti umani restano tali dentro e fuori la rete”, ragione per cui “non si smette di essere titolari di quei diritti che, come persone, sono già garantiti a ognuno di noi anche a livello costituzionale”.
Quale sarebbe allora lo scopo della carta dei diritti? “Serve alla classe politica a mettere la sua simbolica impronta in uno spazio aperto e spontaneo e, perciò, refrattario al potere politico”, si legge sul sito del centro studi liberista e libertario diretto da Alberto Mingardi.
UN’OCCASIONE MANCATA?
Stefano Mannoni, ex commissario Agcom e professore di Diritto delle Comunicazioni presso l’Università di Firenze nella sua rubrica settimanale su Key4biz, parla di “occasione mancata”. “La Dichiarazione dei diritti di Internet contiene tutti i luoghi comuni su Internet e non incide minimamente sul dibattito nevralgico in Europa delle Tlc, che riguarda il single market”, si legge nell’articolo.
Piuttosto che dare vita a un “repertorio delle più trite banalità in circolazione”, per il professore “sarebbe stato più giudizioso seguire la strada del Consiglio di Stato francese che ha ritenuto di non potersela cavare con una Dichiarazione dei diritti, ma ha affidato a 500 pagine di corposo rapporto, tecnico e argomentato, il suo contributo al tema”.
O UNA CARTA CONTRO IL CAPITALISMO SU INTERNET?
Per Massimo Micucci, presidente e fondatore di Reti, resta da capire come dovrebbero essere “garantiti, difesi, implementati da questa Magna Charta la lunga serie di encomiabili e sacrosanti diritti individuali e ‘qualche libertà’ secondo la Dichiarazione”.
In un articolo pubblicato su Il Rottamatore Micucci spiega perché la Dichiarazione dei diritti somiglia a “una carta contro il capitalismo su Internet”. “Tutti i diritti stabiliti debbono avere un guardiano pubblico nella autorità statale che si immischia nella interazione tra i cittadini e tra i cittadini e le entità giuridiche. Non bastano le leggi esistenti? No. Perché internet è un “territorio a parte” di “squilibri” di conoscenza, con internet l’utente (chissà perché?) ha meno forza, meno coscienza, e dunque meno libertà)”.
E scorrendo i 14 punti Micucci nota che: “Manca, non a caso il diritto alla proprietà, che nella carta europea c’è, e la libertà d’impresa. Anzi nella Dichiarazione dei diritti di Internet le parole “impresa” e “proprietà” sono abolite. Traete pure le vostre conseguenze”.