Ci risiamo. Appena concluso l’indovina-chi per ministro degli Esteri e con ancora in corso il dibattito su elezioni anticipate sì o no, ecco che si apre un nuovo ma collaudato gioco di società: il toto-Quirinale.
Giorgio Napolitano il prossimo giugno compirà 90 anni e dopo aver ottenuto un risultato straordinario con la sua rielezione al Colle più alto (il primo e l’unico sino ad ora nella storia della Repubblica italiana) ritiene legittimamente di aver fatto tutto il possibile per servire il Paese e la sua Costituzione.
Nulla di scandaloso quindi se pensasse di fare un passo indietro dopo la fine del Semestre europeo di presidenza italiana e dopo l’approvazione della legge di stabilità. Il problema è che l’ipotesi di un periodo non inferiore ai due mesi di stillicidio quotidiano sui possibili nomi del suo possibile successore appare essa stessa una minaccia alla già compromessa credibilità italiana.
Non solo i semplici cittadini/elettori ma anche e soprattutto gli osservatori internazionali (compresi i cosiddetti “mercati”) faticano a reggere il ritmo di una continua instabilità istituzionale. Da quando Napolitano è salito al Quirinale si sono succeduti 5 presidenti del Consiglio e 7 ministri degli Esteri. Nello stesso periodo, in Germania al governo c’è stata sempre e solo la Merkel.
Non solo. Dal 2010 (due anni dopo le elezioni politiche del 2008), si è aperta una lunga fase in cui, di settimana in settimana, si è indugiato sul possibile ritorno alle urne. La legislatura in realtà arrivò a conclusione. Peccato che, iniziata quella nuova nel 2013, la discussione sulle elezioni anticipate è ripresa immediatamente, senza fermarsi un attimo.
Lo stesso premier, Matteo Renzi, quando a New York ha incontrato gli investitori esteri ha parlato di scioglimento delle Camere in caso di mancata approvazione del Job’s Act. Ora il tema del contendere è la legge elettorale. Anzi, era.
Nel senso che, come abbiamo visto, nell’agenda del dibattito pubblico si è imposto ora il tema del dopo-Napolitano, l’unico che era rimasto un punto di riferimento per chi, da oltreconfine, guarda all’Italia. Il gossip delle dimissioni in realtà sembra essere accreditato dal Quirinale stesso. Questo, se possibile, rende ancora più complicata la gestione di una fase che potrebbe durare più di qualche settimana e logorare quel poco che resta della fiducia nelle istituzioni repubblicane.
Se effettivamente il presidente pensa di voler lasciare, che lo faccia subito. Allo stesso modo, i partiti rappresentati in Parlamento – a partire dalla formazione di maggioranza relativa, il PD – dovrebbero rapidamente trovare un’intesa che possa superare l’esame del voto a maggioranza.
E’ comprensibile che tutti gli attori nel grande teatro della politica italiana (a partire dai giornalisti) provino un certo gusto perverso nei processi lunghi nei quali ciascuno presume di riuscire a giocare meglio il proprio ruolo. Questo però danneggia gravemente l’interesse nazionale di un Paese che è ancora sotto pressione sul piano della finanza pubblica e che fatica ad uscire dal tunnel della crisi economica che lo sta piegando. Ciascuno faccia quello che deve e quello che può.
Ma si faccia presto senza andare per le lunghe. Non possiamo permettercelo.