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Perché non mi convincono il Direttorio a 5 stelle e le ultime grillate. Parla Paolo Becchi

paolo becchi

Altre espulsioni in vista. Resa dei conti vicina. Fondatore che sceglie un profilo defilato. Creazione di un “vertice” di cinque parlamentari per determinare la linea politica. L’ennesima bufera che ha coinvolto il Movimento Cinque Stelle segna l’inizio di un “nuovo corso”?

Formiche.net lo ha chiesto a Paolo Becchi, filosofo del diritto all’Università di Genova, autore del pamphletColpo di Stato permanente”, riferimento intellettuale per molti componenti della galassia penta-stellata.

Professore, cosa sta accadendo nel M5S?

Sono state compiute scelte non felici. Non all’altezza della risposta alle sconfitte elettorali che si sono succedute dal voto per il Parlamento europeo. Bisognava prenderne atto per ripartire. È cominciata invece una lotta interna, che ha provocato nuove espulsioni di parlamentari e la formazione del cosiddetto “Direttorio”. Decisioni che alimentano in me molti interrogativi.

Per quale ragione?

Beppe Grillo ha sempre voluto presentarsi come garante del movimento. E del rispetto delle poche regole che esso si è dato. Pertanto, se i rendiconti e le restituzioni delle risorse ricevute da parlamentari Cinque Stelle non sono avvenute nella cornice delle norme indicate, è stato commesso un atto grave che comporta l’espulsione dei responsabili. Ma ammesso tutto ciò, sono state osservate le procedure previste per le espulsioni?

Lei che risposta si è dato?

Il codice di comportamento firmato dai parlamentari del M5S prevede una discussione trasparente dei gruppi riuniti di Camera e Senato, il riconoscimento della facoltà di difendersi, una decisione presa a maggioranza. Procedimento che viene reso pubblico agli iscritti, i quali attraverso la Rete possono approvare o respingere la scelta. L’ultima parola, come in ogni democrazia diretta, spetta agli aderenti. Ma nell’ultimo caso tale metodo non è stato adottato.

È positiva la creazione da parte di Grillo di un organismo ristretto per stabilire le strategie politiche del movimento?

La scelta di “mettersi a lato” non è un segnale di forza, fondamentale nei momenti della sconfitta e della difficoltà. La costituzione di una struttura rappresentativa più ampia per assumere le responsabilità strategiche è in contrasto con il “non Statuto” del M5S. Realtà che, non volendo diventare un partito, rifiuta l’esistenza organi tipici delle tradizionali formazioni politiche.

I Cinque Stelle si stanno trasformando in partito?

Ritengo di sì. O meglio, in qualcosa di affine a un partito. Anche se non vogliono ammetterlo. La differenza rispetto alle altre forze è che le sue scelte più importanti saranno ratificate dalla Rete. Non più motore e punto di partenza delle decisioni. La nomina delle persone che entreranno a far parte del “Direttorio” presenta molte somiglianze con l’investitura dei vice-segretari da parte del leader.

Come avrebbero dovuto agire i vertici del M5S?

Bisognava lasciare aperta la rosa dei nomi, facendo scegliere gli iscritti. È stata intrapresa una strada ben diversa. Il movimento per come lo abbiamo conosciuto e che ci ha entusiasmato raggiungendo un risultato storico nel febbraio 2013 è finito. È nato qualcosa di differente. Bastava dichiararlo con trasparenza, non in modo confuso e calato dall’alto. Perché tale deriva partitocratica ha creato disorientamento nella base.

Il nuovo “Direttorio” procederà all’espulsione di venti parlamentari penta-stellati?

È difficile dire se il meccanismo delle estromissioni verrà fermato. Rilevo che la cacciata di venti persone può trasformarsi in scissione. E sfociare nella possibile creazione di una forza alternativa grazie all’apporto dei rappresentanti fuoriusciti finora. Il rischio è una frammentazione del principale gruppo di opposizione, capace di portare in Parlamento protesta e disagio sociale promuovendo allo stesso tempo una battaglia per il rispetto della Costituzione. Sarebbe un grande regalo per Matteo Renzi.

L’opposizione penta-stellata potrebbe essere più compatta.

Forse. Ma su cosa? Non ho chiara la strategia del M5S per il futuro. Non vedo emergere figure in grado di metterla in campo. E l’assottigliamento dei gruppi parlamentari provoca inevitabilmente una perdita di forza. A quel punto il disagio sociale diffuso potrebbe scaricarsi sulla Lega Nord, come avvenuto nella recente tornata regionale.

Epurazioni, scissioni, anatemi. I Cinque Stelle rischiano di rivivere la spirale distruttiva che ha costellato la storia comunista e socialista?

Non condivido un paragone del genere. Perché nei partiti di sinistra vi sono state vere scissioni. Riconosco che il M5S aveva bisogno di fare pulizia al proprio interno, distinguendo tra chi aderiva al suo progetto e chi partecipava per pura convenienza. Era essenziale eliminare le cellule nocive e consentire all’organismo di proseguire la propria attività. Ma poi si è proceduto con uno stillicidio di espulsioni continue.

Come finirà?

Se tale percorso troverà sbocco in una scissione, la trasformazione del movimento in forza politica tradizionale sarebbe confermata. E in tal modo verrebbero snaturati i principi originari.

La strada per riconquistare un profilo vincente è uscire dai Palazzi?

Penso che, a fianco del lavoro di opposizione intransigente in Parlamento, sia fondamentale ricostituire un legame forte con le esigenze della gente nel territorio. Perché è alle persone che bisogna rispondere. Forse Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio non hanno ben funzionato da cinghie di trasmissione tra le due realtà. Lo conferma un elemento di dettaglio.

Quale?

La provenienza dei cinque membri del nuovo organismo ristretto: quattro dalla Campania e uno dal Lazio. E tutti deputati. Era preferibile una più ampia rappresentatività dei territori, visto il radicamento politico e l’affermazione elettorale dei Cinque Stelle in tutte le aree della penisola.

Ma il movimento deve presentarsi alle elezioni regionali della primavera 2015?

Una formazione che promette di non voler occupare posti di potere non è tenuta a partecipare a tutte le tornate di voto. Tanto più nelle regioni, trasformate in centrali di clientelismo, corruzione, dissipazione di risorse pubbliche. Lo prova il fatto che il M5S ha evitato di competere in Sardegna. Molto meglio ripartire dai comuni, dove i Cinque Stelle sono nati e hanno interpretato i bisogni dei cittadini.


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