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Ilva, ecco perché è impervio il percorso di un decreto legge

In tanti parlano di un ormai imminente decreto per l’Ilva già pronto, anzi in procinto solo di andare alla firma del capo dello Stato: ci manca quasi che gli scommettitori di professione scelgano di indovinare il giorno su cui puntare le loro poste. Attenzione, però: quel decreto deve sciogliere una molteplicità di nodi di vari natura così da presentarsi molto complesso e di non semplice definizione.

Certo, un provvedimento urgente è necessario perché la situazione di cassa dell’azienda è molto delicata ed esige un intervento forte del governo, anche per rassicurare i vertici aziendali, i dipendenti, le banche, i fornitori e i clienti. Non dimentichiamo che la produzione di recente è risalita perché i prodotti di Taranto sono richiesti sul mercato: pertanto bisogna assicurare le forniture presenti ai compratori e quelle possibili in futuro. Non è facile dire pertanto se proprio il 22 – come scrive qualcuno – o poco dopo sarà pronto il decreto che non è di facile definizione, data, lo si ripete, l’estrema complessità dei nodi da sciogliere.

Intanto è bene ricordare che il management che attualmente gestisce gli impianti è di alto profilo professionale ed è pertanto perfettamente in grado di guidarli: non dovrà perciò, a nostro avviso, essere sostituito da chi subentrasse nella gestione. Sarebbe il caso in proposito di averne una maggiore considerazione anche sugli organi di informazione e di ricordarne l’attività, altrimenti si potrebbe pensare che le vicende dell’Ilva abbiano solo protagonisti esterni alle sue fabbriche di Taranto, Genova e Novi ligure, o solo gli operai e i Sindacati, quando c’è un gruppo di tecnici, quadri ed ingegneri che ogni giorno, con gli operai, manda avanti le tre fabbriche fra cui quella del capoluogo ionico che è anche la più grande fabbrica manifatturiera d’Italia, Circa i nuovi possibili azionisti, pubblici e privati, è doveroso ricordare che tuttora la proprietà dell’Ilva è del gruppo Riva e al 10% del gruppo Amenduni. Pertanto il governo dovrà nel suo provvedimento considerare questo aspetto che non è affatto secondario.

Al momento – qualunque sarà l’atto del governo – non è facile immaginare a breve una sua uscita di scena dalla vicenda dopo un suo eventuale decreto. Intanto, se sarà un decreto legge, dovrà essere convertito dal Parlamento e pertanto dovrà essere seguito nel suo iter di conversione. Poi bisognerà valutare come incrocerà normative comunitarie sugli aiuti di Stato, la tutela della concorrenza, etc., quando il Governo dovrà presentarlo a Bruxelles. L’arrivo eventuale di Arcelor Mittal, ad esempio. dovrebbe essere valutato anche dall’Antitrust europeo.

Insomma il governo dovrà seguire a lungo l’intera vicenda. Per la competitività soprattutto del sito di Taranto bisognerà vedere i nuovi piani industriali che lo riguarderanno, i tempi di attuazione dell’Aia, la quantità di risorse necessarie per tale fine, le produzioni massime possibili, i tempi di raggiungimento del pareggio prima e di margini positivi poi. Comunque ben gestito il sito di Taranto è competitivo, sin quando la domanda italiana ed estera ne traina le produzioni.

Non c’è dubbio dunque che il decreto sull’Ilva sia un banco di prova di grande rilievo per l’esecutivo. A proposito dell’impianto di Taranto, stiamo discutendo del pilastro di buona parte dell’industria meccanica italiana, del più grande sito siderurgico a ciclo integrale d’Europa e, lo ripetiamo, della più grande fabbrica manifatturiera italiana con i suoi 11.480 addetti diretti.

Il Presidente Renzi di questo è consapevole e nessuno può permettersi di sbagliare nell’affrontare questo nodo divenuto intricatissimo dell’industria nazionale.

Federico Pirro (Università di Bari – Centro Studi Confindustria Puglia)


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